Festival del Giornalismo di Perugia #12: ovvero commenti semiseri di una giornata “particolare”

di Vittoria Favaron

Festival del Giornalismo di Perugia #12: ovvero commenti semiseri di una giornata “particolare”

di Vittoria Favaron

Festival del Giornalismo di Perugia #12: ovvero commenti semiseri di una giornata “particolare”

di Vittoria Favaron

“Scusate ma mi sta chiamando la mamma!” ovvero storie d’ordinario pseudo-giornalismo giovanile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, versione 2.0 #IJF12, ashtag come se piovesse e, nel caso di specie, intervento di giovane musicista “freakkettone durante una conference alla sala dei Notari.

 

E sono piovuti, copiosissimi, Ipad giusto per ricordare un recente spot marchiato Vodaphone, wireless a cascata e pass Press e Volontari sparsi come caramelle, dimenticavo: Baci Perugina a profusione.

Perché L’ International Journalism Festival 2012 (notare che in inglese è bello) è stato anche e tutto questo, e non solo.

Perugia, nella sua veste medievale chic, grifonica e al sapor di cioccolato freddo, è stata letteralmente invasa, come ogni anno del resto, da folle di giovani aspiranti scribi, reporter, tesserati e non, provetti Stella e Rizzo del caotico mondo della stampa.

Un evento, quello del IJF12, che si è distinto per l’alto livello tecnologico e il programma ricco e variegato, in cui si è discusso di new media, social network, piattaforme, ruolo del giornalismo, passando dalla musica, alla politica, all’ambiente, all’attualità e persino alla cucina.

Ma uno spettacolo vivente, e che non può non attirare un osservatore che dissacra e non si prende mai sul serio, è quello del diversamente sobrio atteggiarsi dei giornalisti o pseudo tali, dentro e fuori le “mura del Festival e della città”, eccezion fatta per Vittorio Zucconi che è giunto come una borsa fatta di giornali plastificati (tipo quelle che si usano nei supermercati pro riciclaggio), molto retrò, tranquillo e a modo. Molta stima per lui.

Totale “ammirazione” per  la passerella itinerante di copiosi ragazzi e ragazzotti cresciuti che esponevano fieri il loro “PASS Press, Speaker o Volontario” in giro per le stradine perugine, anche in momenti, come le 11 di sera, in cui non era assolutamente necessario farsi identificare ai fini dell’Entry al Festival, soprattutto perché, nel caso di specie, l’unica fila che si poteva scorgere era quella per aggiudicarsi una birra doppio malto.

Il corteo dei “PASSisti” era rintracciabile e sfacciatamente riconducibile all’idea di status giornalista che tanto piace ad un certo tipo di persone che avrebbe dato la vita e qualcosa in più per far venir giù un po’ di pioggia, se non altro per sfoggiare il trench color crema che fa tanto Indro Montanelli. E vai con le reminiscenze da idoli battuti a macchina con cui, grazie a Dio per gli idoli defunti, non si condivide nulla se non l’oggetto vestiario.

Ma su tutto i veri protagonisti indiscussi di quest’edizione del Festival sono stati i “cinguettii”, i tweet, veri e propri profanatori dell’Ansa più conformista, che hanno fatto da padroni e hanno rappresentato il più autentico leitmotiv dell’evento e sono stati oggetto di dibattito impegnato e serio da parte dei bonari “dinosauri” della carta stampata o del più antico modello tecnologico di personal computer.

Twitter come gotha supremo per la diffusione di breaking news, dentro e fuori il Festival, ma soprattutto attorno alle notizie di ogni tipo, come una sorta di mausoleo on line in cui si riversano e si concentrano i commenti e gli aggiornamenti dall’Italia e dall’estero, in cui ognuno dice la propria a colpi di cancelletto e chiocciolina.

C’è chi ha osato rivelare che le notizie sono su Twitter mentre la gente vive su Facebook e che il giornalista deve collocarsi in questo spazio di mezzo, levandosi la falsa illusione di poter competere, in quanto a velocità, con i mezzi suddetti ma piuttosto porsi come filtro in entrata e in uscita delle notizie che giungono e che sono prive di degna analisi critica.

La potenza dei social network era palesemente visibile soprattutto tra gli “addetti ai lavori” più o meno accreditati, che aggiornavano di continuo le due pagine create ad hoc per il Festival, rispettivamente sui due social network che stanno segnando non solo la storia del Giornalismo strictu sensu, ma l’evoluzione delle nostre abitudini intese a 360°.

Ma giusto per tornare ad una panoramica più godereccia del Festival, quello che ha colpito molto rispetto ad un certo tipo di eventi contrassegnati da ospitate eccellenti e televisioni a seguito è stata una certa “pacatezza” che intercorreva tra un evento, una tavola rotonda, una conferenza stampa e un incontro “inusuale” come quello svoltosi in compagnia di Fulvio Abbate e Pietrangelo Buttafuoco, outsiders di nome e di fatto.

Pacatezza che ha previsto la completa assenza di eventi mondani come aperitivi discutibili o feste in qualche palazzo d’epoca, e il pensiero è rivolto ai fasti che seguono i Festival del Cinema di Venezia e Roma, o certe kermesse che di culturale hanno tutto, sulla carta, ma che finiscono con un’immancabile carrozzone di tarallucci e vino.

Per la serie, “l’aperitivo a Perugia lo facciamo da noi”, ed era piacevole e un po’ naif ritrovarsi immerse in file per una birretta o un calice di vino, e notare come in fondo, la sera si esaurivano le distanze un po’ refrattarie che durante il giorno scorrevano tra “il popolo” del Festival, in cambio di pura e semplice condivisione di un momento di sacro relax.

Ma al di là di questi scorci gossipari e molto poco professionali, è innegabile il fatto che Il Festival del Giornalismo di Perugia è un’occasione importante di incontro e riflessione sullo stato dell’arte di questa professione che naviga a vista, tra passione e lavoro. Non deve fuorviare l’immagine primaria che trapela dal Festival e cioè una lunghissima seduta di autoanalisi e confronto psico-sociale imbevuto di grandi tematiche e problemi reali del paese, c’è molto di più:  la riflessione acuta e incalzante  su come e quanto la Crisi stia incidendo sul modo di raccontare i fatti, di operare nel lavoro, per capire in che misura il Giornalismo possa mantenere un ruolo realmente determinante nella diffusione dell’ informazione e se è davvero necessario un ordine professionale pomposo e assai oneroso per legittimare una persona a potersi definire Giornalista.

La vera rivoluzione “non violenta” cui tutti assistiamo e di cui ognuno di noi fa parte è proprio quella sul Web e con i mezzi del Web, e certamente tale ondata telematica ha plasmato, arricchito, coinvolto e forgiato un nuovo tipo di “giornalismo”, che viaggia sui blog, sulle piattaforme culturali, sui siti non riconosciuti, sui miliardi di tweet che circolano.

Ma bisogna essere cauti a considerare tutti “giornalisti”, perché tecnica, studio, esperienza e, naturalmente, il talento non sono qualità tutte innate o autodidatticamente apprendibili tout court. Vero è che il wind of change spira così forte che non ci resta che assistere al suo coinvolgente manifestarsi, cercando di mantenere un alto livello, una buona resa editoriale, una grande umiltà e continuare a credere fortemente nel Giornalismo in perenne ricerca di soldi, oltre che di autori, ma questa… E’ un’altra storia.

 

Da Perugia with news.

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