Per Falcone: liturgie
in attesa della verità

Per Giovanni Falcone:
liturgie e memorie in attesa della verità

di Pietro Maria Sabella

Per Falcone: liturgie
in attesa della verità

Per Giovanni Falcone:
liturgie e memorie in attesa della verità

Per Giovanni Falcone:
liturgie e memorie in attesa della verità

di Pietro Maria Sabella
Falcone

Per Falcone: liturgie
in attesa della verità

Per Giovanni Falcone:
liturgie e memorie in attesa della verità

di Pietro Maria Sabella

La narrazione intorno alle stragi, come accade per molti eventi emblematici per i valori della Repubblica, ha anch’essa bisogno di alcuni punti cardinali, anche temporali, per potere avere una tridimensionalità costante. Il 23 maggio e il 19 luglio rappresentano delle porte di ingresso alla città della commemorazione, del ricordo, del contrasto alla criminalità organizzata, soprattutto mafiosa.

Ciò che rimane sempre più in dubbio, con l’avanzare del tempo, è se si tratti di una città di vivi e se i vivi “che contano” portano quelle idee sulle proprie gambe.In particolare, poi, il 23 maggio è la metafora di una sorta di griglia di partenza, dalla quale ogni anno, ormai 29, ci si avvia in una gara di liriche commemorative, di momenti di raccoglimento, di visite, celebrazioni sia sfarzose che sobrie, fiaccolate e passeggiate da e fino l’albero di Via Notarbartolo, insomma di liturgie.

Sì, quell’albero che a Palermo fa più visitatori del Santuario di Santa Rosalia di Monte Pellegrino e che, come la “Santuzza” raccoglie sul proprio corpo centinaia, migliaia di ex voto, preghiere, promesse, vocazioni, pentimenti, ringraziamenti. Ed esattamente come accade per i festeggiamenti di Santa Rosalia, 15 luglio, la vigilia è sempre frenetica, vispa, infuocata.

E’ un Sabato del Villaggio, in cui l’eccitazione soverchia tutto il resto, in cui tutti “ci battiamo il petto”, per essere pronti al momento taumaturgico finale, che culmina sempre con una processione. Che sia istituzionale o religiosa, entrambe vivono di grandi momenti di celebrazione e riflessioni, omelie e invettive, calate dai pulpiti più alti, che cessano con immensi giochi di fuoco, di polvere da sparo o di parole.

Falcone ha messo in ginocchio la mafia, Santa Rosalia ha debellato la peste, entrambi hanno salvato Palermo, almeno per un po’. Cessano le festività, il Carro di Santa Rosalia (per chi non è di Palermo è l’altare mobile sfarzoso e magnificente che attraversa la città per celebrare la vittoria della Santa sulla morte) si ferma, rimane in silenzio in centro città per un intero anno, l’anima di Falcone torna a riposare nella chiesa di San Domenico.

Come ogni liturgia termina così, le emozioni si placano, la suspence è soddisfatta, il petto colmo di gioia, e la pancia goliardicamente felice. E poi? Poi cosa succede? Rimane tutto fermo così, sia nel santuario che nei processi. Le chiese si svuotano, i provvedimenti spariscono.

Il Vangelo, come l’agenda rossa non si sa dove sono finiti. Così fino al prossimo anno, fino al prossimo giro, in attesa della redenzione e delle riforme della giustizia. In attesa dei miracoli e dei provvedimenti legislativi, che non arrivano o sembrano sempre così impercettibili. Qualcuno rimane silente in preghiera o in trincea, perché crede davvero che non ci sia spazio per il “grigio”. Ma il grosso dura un giorno e poi basta in attesa della pronuncia delle fatidiche parole del celebrante:

<<Ite missa est>>

<<Deo Gratias>>.

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