Un anno e un mese di reclusione: questa la richiesta del sostituto Procuratore Generale del capoluogo lombardo, Massimo Gaballo, nei confronti del sindaco di Milano Giuseppe Sala, ex amministratore delegato e commissario straordinario di Expo.
Il primo cittadino, infatti, prosciolto per abuso d’ufficio, è accusato “solo” di falso materiale e falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “Piastra Expo”, relativa all’appalto per costruire l’infrastruttura di base su cui sarebbe sorta l’Esposizione Universale del 2015.
L’accusa è nello specifico rivolta ad una presunta opera di retrodatazione di due verbali con cui, nel maggio del 2012, vennero sostituiti due componenti della commissione giudicatrice per l’assegnazione dell’appalto evitando, in tal modo, di dover annullare la procedura.
Una decisione, quella del sindaco Sala, di retrodatare i verbali che, secondo la procura, risulta «provata al di là di ogni ragionevole dubbio» proprio per rendere sanabile la gara.
La stessa condanna viene richiesta anche per l’ex manager di Expo, Angelo Paris, con l’ulteriore accusa di tentato abuso d’ufficio che (in caso di condanna) comporterebbe altri otto mesi di reclusione.
Stando alla ricostruzione dell’accusa, due componenti su cinque della commissione (poi sostituiti), risultavano incompatibili per ricoprire l’incarico.
Scoperta tale incompatibilità, dopo una prima riunione della commissione avvenuta il 18 maggio 2012, il sindaco Sala, avrebbe percorso la strada più “semplice” (non a caso illegale): redigere un nuovo verbale modificando i nomi dei due membri.
Ed è proprio in questa circostanza che si manifesta il fatto criminoso: l’atto di annullamento e nomina dei nuovi componenti sarebbe stato redatto il 31 maggio 2012, riportando, però, la data del 17 maggio.
Una retrodatazione di 13 giorni che ha convinto il Procuratore generale della colpevolezza dell’imputato.
«Non è credibile dove tenta di minimizzare il problema, che in realtà è un grave problema», queste le parole del Pg durante la requisitoria. L’agire secondo le regole avrebbe, infatti, comportato il rischio di pregiudicare l’Esposizione universale o avrebbe comunque determinato il pericolo di «annullamento della gara e di perdere tempo prezioso». Un rischio troppo grande da correre…
Questioni di tempo avrebbero quindi spinto il sindaco Sala a retrodatare il verbale di nomina dei due componenti della commissione.
Per l’accusa l’obiettivo era molto concreto: il successo dell’Expo, senza avvantaggiare né danneggiare alcuno. Probabilmente l’unico motivo che ha spinto la procura a richiedere il minimo della pena prevista per i reati contestati è proprio l’esiguo disvalore dei fatti stessi.
Si è concordi, però, nel riconoscere la gravità all’azione del sindaco che incarna pur sempre la figura del pubblico ufficiale, gestore di fondi pubblici.
E così l’accusa rivolta all’imputato, come accennato in apertura, è stata quella di falso materiale e falso ideologico, due tipologie delittuose rispetto alle quali la recente giurisprudenza, rifacendosi ai caratteri fondamentali di un documento (la genuinità e la veridicità), identifica le condotte penalmente rilevanti rispettivamente nella compromissione della genuinità di un documento (falso materiale) e nella compromissione della veridicità (falso ideologico).
Più specificamente, la falsità materiale si concretizza nella condotta diretta a modificare una realtà documentale preesistente rispetto a quella che l’autore del falso fa apparire (cfr. Cass. pen., sez. II, n. 28076/2012).
Diversamente, la falsità ideologica attiene al contenuto (non alla forma) del documento e si sostanzia nella condotta redazione di un documento che risulterà genuino e realmente formato da chi appare esserne l’autore, ma il cui contenuto non corrisponderà al vero (cfr. Cass. pen., sez. II, n. 28076/2012), contenendo delle dichiarazioni menzognere. Perché possa configurarsi il falso ideologico in tutte le ipotizzate modalità di realizzazione occorre, naturalmente, che l’immutatio veri inerisca a “fatti” dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
La differenza tra i due concetti la si può cogliere anche sotto il profilo più squisitamente letterale delle norme incriminatrici: il legislatore nel riferirsi al falso ideologico utilizza sempre l’espressione “attesta falsamente”, mentre nel riferirsi al falso materiale utilizza le diverse espressioni di “contraffare” ed “alterare”.
Dinnanzi alle varie accuse, la strategia difensiva dell’imputato si è fondata principalmente su due aspetti: da un lato, il fatto che il falso fosse innocuo, non avendo prodotto alcun tipo di effetto illecito sulla gara d’appalto; dall’altro, la mancata consapevolezza di Giuseppe Sala in merito alla retrodatazione.
Sul punto, nel corso dell’interrogatorio, il primo cittadino ha dichiarato di non aver prestato attenzione alla data apposta sul nuovo atto di nomina, ma di aver verificato soltanto il nome dei nuovi membri svolgendo «una verifica sommaria, sulla fiducia che i (suoi) capaci tecnici avessero già verificato tutto».
In una simile vicenda, il mix di prove (intercettazioni, testimonianze e quant’altro) prodotte dall’organo dell’accusa giustificherebbe la richiesta di condanna. Il ruolo di vertice ricoperto dal sindaco Sala rende, infatti, inverosimile che una decisione così delicata e soprattutto illegale (quale quella di modificare dei verbali di nomina della commissione d’appalto) fosse stata presa a sua insaputa.
Una convergenza di prove che ha reso particolarmente arduo il compito dei difensori, i quali fino all’ultimo momento hanno portato avanti le considerazioni sopra menzionate.
Il lavoro di entrambe le parti per il momento può ritenersi concluso. Non resta che attendere la pronuncia dei giudici.
di Massimiliano Stagno,all rights reserved