ELEZIONI EUROPEE 2019: “IL NORD NON DIMENTICA”, IL SUD SI

di Federico De Giorgi

ELEZIONI EUROPEE 2019: “IL NORD NON DIMENTICA”, IL SUD SI

di Federico De Giorgi

ELEZIONI EUROPEE 2019: “IL NORD NON DIMENTICA”, IL SUD SI

di Federico De Giorgi

Le elezioni per il Parlamento europeo dello scorso 26 Maggio hanno segnato un nuovo capitolo nella storia politica italiana: la (fu) Lega (Nord) di Matteo Salvini, con i suoi oltre 9 milioni di elettori e il suo 34,26%, a coronamento di un percorso di espansione a livello nazionale inaugurato nel 2017 con l’elezione a segretario dell’attuale Ministro dell’Interno, fa saltare il banco ed esce definitivamente dai confini padani per diventare il primo partito in Italia.

Ma oltre all’annunciato e inarrestabile exploit della Lega, ci sono davvero tante situazioni da analizzare: si pensi al dato dell’astensionismo – ha votato solo il 56% degli aventi diritto – causa principale del dimezzamento di voti dei 5 stelle, o ai risultati pervenuti dalla circoscrizione Estero – PD oltre il 32%, Verdi intorno al 10% e + Europa al 9% – in assoluta controtendenza con quelli provenienti dalla penisola.

Come in ogni competizione elettorale, quindi, ci sono stati dei vincitori e degli sconfitti e non sono mancate sorprese, tanto in positivo quanto in negativo.

GLI SCONFITTI

+ Europa (3,44%)

La lista capitanata dalla eterna Emma Bonino non supera la soglia di sbarramento del 4%, percentuale minima prevista per entrare nel Parlamento europeo.

Di questo ci dispiace, una lista infarcita di ex radicali – dai, seriamente, chi non stima almeno un po’ i Radicali? – avrebbe meritato almeno un paio di seggi a Bruxelles; lei a caldo ha scaricato la colpa sugli elettori stessi, dicendo che il loro progetto non è stato capito e che loro sono stati gli unici ad affrontare temi veramente centrali per un voto non nazionale, ma appunto europeo.

E se il problema fosse proprio quello?

Forza Italia (8,79%)

Il centro-destra – si, perché la Lega è destra senza centro, e non provateci neanche ad affermare il contrario – continua ad essere ostaggio del suo padre-padrone, Silvio Berlusconi.

Se è vero che l’ex Cavaliere ha fatto il pieno di preferenze (circa 520.000), è anche vero che la sua ostinazione a non passare il testimone per un nuovo progetto moderato e liberale, il suo voler a tutti i costi rimanere al timone di un progetto politico ormai in stato vegetativo irreversibile e svuotato di ogni velleità di “rivoluzione liberale” sta portando il partito co-fondato da Marcello Dell’Utri sempre più giù.

L’assenza di un’alternativa credibile nel centro-destra è la causa di almeno due conseguenze, entrambe molto rilevanti nella necessaria analisi post-voto: la prima è che l’elettore che tradizionalmente voterebbe a destra è portato a votare ancora più a destra (vedasi Lega e Fratelli d’Italia), la seconda è che il centro-sinistra, nella speranza di raccattare i voti dei forzisti delusi si è da anni lanciato all’inseguimento di questi voti, finendo per divergere ideologicamente dalla sinistra tradizionale e spaccandosi più di quanto già faccia normalmente.

Movimento 5 Stelle (17,06%)

Fallimento totale per il partito fondato da Grillo e Casaleggio.

Perdere il 16% in un anno non è cosa da poco, anzi, potremmo definirla un’impresa più unica che rara, ma dopo aver stipulato un patto col diavolo – a.k.a. Matteo Salvini – siamo così sicuri che non fosse del tutto prevedibile?

La leadership dell’enfant prodige – ? – nonché Ministro del Lavoro – ? – Luigi di Maio è sempre più in bilico, Dibba è tornato dal Sud America riposato e pronto per la svolta a sinistra nel partito e si sono ufficialmente aperte le scommesse su chi cercherà di far cadere per primo il Governo: e se vi dicessi che i 5 Stelle, nonostante ne abbiano un bisogno tremendo per provare a recuperare credibilità verso gli elettori che nelle politiche di un anno fa li premiarono con oltre il 32% dei voti, non lo faranno perché, altrimenti, si troverebbero a rompere il sacro ed inviolabile “contratto di governo” e a dover cercare a tutti i costi un’alleanza con i nemici giurati del PD?

I VINCITORI

FRATELLI D’ITALIA (6,45%)

Se il 6,45% vi sembra un risultato troppo modesto per poter parlare di vittoria, forse avete perso contatto con la realtà: il partito nazionalista e sovranista di Giorgia Meloni (oltre 400 mila preferenze) ha aumentato quasi del 50% i propri consensi rispetto allo scorso anno – prese il 4,35% alle ultime politiche – riuscendo ad intercettare principalmente i voti dei delusi berlusconiani.

Che questo risultato sia solo un trampolino di lancio, in vista di un ruolo da co-protagonista, in un futuro Governo di ultra-destra, nell’eventualità di un ritorno alle urne?

PARTITO DEMOCRATICO (22,74%)

Eppur si muove.

Il PD del neo-segretario Nicola Zingaretti inizia a rialzarsi dopo la batosta delle scorse politiche recuperando ben quattro punti percentuali, frutto tanto di un ritorno a casa dei voti anti-renziani che erano andati a rimpinguare le casse del Movimento 5 Stelle non più tardi di un anno fa, quanto di un fortemente voluto recupero dei voti che recentemente erano andati ai piccoli partiti di sinistra da zero virgola.

Tra i singoli molto bene l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia – quasi 270.000 preferenze – e l’ex Ministro Carlo Calenda – oltre 275.000 .

Per il PD però c’è ancora tanto da fare se vuole tornare ad essere realmente il perno di un centro-sinistra sempre più in crisi dopo la “rincorsa a destra” – che può piacere come non piacere, ma è un dato di fatto – degli ultimi anni: nell’agenda di Zingaretti la priorità è ricucire con i Verdi e con La Sinistra, che porterebbero un bel tesoretto di voti al Presidente della Regione Lazio, e soprattutto riuscire a staccarsi di dosso l’etichetta di elitè (anche questa volta i voti presi dal PD sono cresciuti proporzionalmente alla grandezza delle città in cui si è votato, risultando primo partito a Roma e Milano, ad esempio) che recentemente lo ha contraddistinto.

LEGA (34,26%)

Il capolavoro politico – vi giuro che non vorrei ammetterlo, ma non scriverlo sarebbe sintomo di disonestà intellettuale – di Matteo Salvini: presentarsi come forza credibile – non volevo scrivere neanche questo, lo giuro – a livello nazionale, andare a governare con i 5 stelle nonostante la metà dei loro voti, “concedergli” la politica economica, il mercato del lavoro e tutti gli altri Ministeri in cui si prendono tradizionalmente decisioni impopolari, facendo in modo che il malcontento che fisiologicamente ricade su questi aspetti li affondasse un po’ per volta, e che anzi convincesse una buona fetta dei loro elettori a cambiare sponda e votare la parte verde della medaglia, che altro non è che vittima dell’ incompetenza pentastellata.

A ciò si aggiunga una buona dose di delusi da Forza Italia, un pizzico di astensionismo, due foto con il rosario per convincere gli ultra-cattolici ancora indecisi e un evergreen come “aiutiamoli a casa loro”, ed il gioco è fatto.

Addirittura, Umbria ed Emilia-Romagna, storiche roccaforti del PD, si sono inchinate al “Capitano”, segnando un’inversione di tendenza difficilmente preventivabile.

Rimane però un fattore che, da terrone quale orgogliosamente sono, proprio non riesco a comprendere, a giustificare, a digerire: la quantità esorbitante di voti presi dalle Lega nelle Regioni di quello che, fino a pochi anni fa, era il tanto disprezzato Sud.

“Sono troppo distanti dalla nostra impostazione culturale, dallo stile di vita e dalla mentalità del Nord. Non abbiamo nessuna cosa in comune. Siamo lontani anni luce” affermava proprio il “Capitano” nel 2009, dopo aver intonato il celebre “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”.

Ma anche: “Dire PRIMA IL NORD è razzista? I razzisti sono coloro che da decenni campano come parassiti sulle spalle altrui” sempre il “Capitano”, questa volta nel 2012, oppure: “Noi siamo celti e longobardi, non siamo merdaccia levantina o mediterranea”.

Prendendo in prestito un famoso detto spesso ripetuto nella popolare serie tv Game of Thrones:

Il nord non dimentica”.

Vero, ma il sud evidentemente sì.

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