Elettra, un thriller dell’anima al Teatro Vittoria

di Aretina Bellizzi

Elettra, un thriller dell’anima al Teatro Vittoria

di Aretina Bellizzi

Elettra, un thriller dell’anima al Teatro Vittoria

di Aretina Bellizzi

Elettra di Hofmannsthal in scena al teatro Vittoria, dal 18 al 28 Maggio

Il regista Giuliano Scarpinato ha deciso di portare in scena con la sua compagnia, Wanderlust Teatro, Elettra di Hofmannsthal, un “thriller dell’anima”, uno spettacolo ad alta tensione emotiva. Lo spettacolo è stato il vincitore della ottava edizione della rassegna “SALVIAMO I TALENTI – Premio Attilio Corsini”.

La resa scenica, nonostante le buone intenzioni, non riesce a far esplodere la forza dirompente che il mito in sé e la sua rilettura del ‘900 contengono.

Elettra - compagnia completa

Quella di Hofmannsthal è un’Elettra dal forte potenziale psicagogico: contemporanea alle teorie di Freud, sembra sussumerle e applicarle ad uno dei miti più oscuri e cupi che la grecità ci ha consegnato. Costruita come fosse un’unica, lunga e terribile seduta psichiatrica, questa Elettra, tutta novecentesca, porta in scena i conflitti interni alla famiglia degli Atridi nel momento in cui il peggio è già stato compiuto e ancora deve compiersi. Clitemestra ha già ucciso il marito Agamennone, aiutata dal suo nuovo amante Egisto e ora la figlia Elettra sente di dover vendicare il padre uccidendo la madre, sa che questa è la sua unica missione, è il motivo per cui sta al mondo: vive per far morire chi le ha dato la vita. Ha aspettato tanto e nell’attesa è cresciuta la sua sete di vendetta. Il fantasma del padre continua ad abitare i suoi incubi ad occhi aperti. Non dorme Elettra, è sempre vigile, deve fare la guardia a se stessa ora che è sola al mondo e che il fratello Oreste, l’unico che potrebbe aiutarla, è lontano.

Lo spettacolo inizia e il sipario si apre solo a metà, ci è dato prima solo sbirciare dentro la casa dei delitti dove l’unico sentimento che regna sovrano è l’odio e dove la diffidenza diventa palpabile appena sulla scena vediamo comparire i protagonisti del dramma. La prima scena, inventata e aggiunta inutilmente, non serve a nulla se non a spaesare lo spettatore. L’atto unico di Hofmannsthal basta da solo a dire il dramma, a renderlo vivo, a proiettare su questo conflitto arcaico la sconvolgente scoperta dell’interiorità.

Elettra

Gli attori non sono tutti convincenti. Le interpretazioni, a cominciare da quella di Elettra (Giulia Rupi) e Clitemestra (Elena Aimone) a tratti risultano sforzate e non sempre d’impatto. Il difetto maggiore lo si riscontra nella variazione dei toni e dei ritmi, non sempre appropiata e non sempre operata al momento giusto. Azzeccata invece la scelta di fisicizzare i personaggi, di proiettare sui loro corpi i pensieri e i conflitti interiori che li animano e li lacerano. E così Elettra ci appare come una bestia selvaggia che ha scelto come sposo l’odio e a lui solo risponde e alla sua fame di vendetta che la divora fino a consumarla, fino a logorare ogni singolo residuo di umanità e femminilità che possedeva. Il suo essere donna si manifesta solo ed unicamente nel suo essere “isterica”. Il cappotto militare oversize dietro al quale si nasconde e si difende come fosse uno scudo manifesta in realtà più chiaramente il suo essere insieme una bambina innocente e capricciosa e una donna fatta, passionale e vendicativa. Quel cappotto come una corazza serve a coprire a se stessa e al mondo un abito bianco lacero e sporco, simbolo di tutti gli oltraggi subiti, serve a ricordarle che è venuto il momento di agire. Ma non sarà lei a compiere il delitto, non sarà lei a macchiarsi del suo stesso sangue ma quel sangue versato la disseterà.

È una gioia macabra la sua, una vorticosa danza di morte, un baratro quello in cui si getta con gli occhi iniettati d’odio e animata da una strana cupio dissolvi.
Forse perché “meglio esser morti che vivi senza vita”.

di Aretina Bellizzi, all rights reserved

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