EIS-WEIN SHUT

di Fabrizio Spaolonzi

EIS-WEIN SHUT

di Fabrizio Spaolonzi

EIS-WEIN SHUT

di Fabrizio Spaolonzi

Eis-Wein Shut: Si è trattato di un sogno? Di un equivoco, o forse di una distorta e confusa riallocazione di eventi e ricordi?…Non lo so o, semplicemente – come il Maestro Kubrick – ci gioco un po’, ma questo mese devo dire che ho un Racconto molto particolare da fare. Parla di viaggi, parla di vini, parla di tragitti diversi e di una conversazione su una tratta dalle smisurate distanze (altro che Roma-Rimini per le finali di Basket!).

“Der Zug nach Roma Termini ist abgefahren”. Eccoci, siamo davvero sull’Eurocity night Vienna-Roma. Eh sì, esiste. Giuro che esiste. E non è neanche male; certo, non è in ebano a suon di Strauss pieno di letterati ed aristocratici di inizio secolo scorso, ma è civile. Scompartimento chiuso. Soli, è ora di parlare di vino. E in Austria i successori dell’impero sono loro. Il nettare d’oro, gli Eiswein.

WP_20160313_18_33_53_ProVini di ghiaccio. Sono noti anche così gli Eiswein, un esempio incredibile del mondo vinicolo, del genio umano, del caso, dell’accuratezza, della tradizione, della precisione (non peraltro di matrice germanica). Gli Eiswein sono vini che nascono in condizioni particolarissime e che possono essere prodotti solo con un utilizzo intelligente e meditato di una caratteristica meteorologica particolare, la presenza cioè di temperature ampiamente e continuativamente sotto lo zero.

Che cos’è infatti un Eiswein? È un vino dolce, non necessariamente da dessert, ottenuto da uve pressate e vinificate quando i grappoli presentano l’apparenza di sculture di ghiaccio e vendemmiate quando le temperature variano da un minimo di otto a dieci e più gradi sotto zero. In Canada prevedono che le uve possano essere raccolte e pressate quando la temperatura permane otto-dieci gradi sottozero per una durata di almeno cinque giorni. La vendemmia avviene pertanto la mattina molto presto quando le temperature sono più rigide. WP_20160313_17_35_16_Pro

Ma come nasce, da quali uve si può produrre, e dove, l’Eiswein? Ebbene, storicamente si fa riferimento alla vendemmia del 1829 nel Rheinhessen (anche se da piemontese tengo a ricordare che c’è un riferimento d’epoca Romana ai vini di Chiomonte in Val di Susa come possibili antenati degli odierni Eiswein!). Non essendo quella stata un’annata particolarmente florida, molte uve furono lasciate sulla pianta con l’intento di farne cibo per gli animali, vista l’impossibilità o la non volontà di procedere alla vinificazione. Ma l’11 febbraio del 1830 – si dice – quando i produttori procedettero alla raccolta, si accorsero che il succo era dolcissimo e particolarmente saporito. Provarono quindi a pressarlo e dal succo ottenuto arrivò mosto, e quindi vino: da qui nacque l’Eiswein, appunto, vino di ghiaccio. Oggi i vini di ghiaccio hanno conquistato una nicchia di mercato nei vini dolci, e le nazioni che spadroneggiano su questo segmento sono il Canada e la Germania, ma anche l’Austria fa la sua parte. I vitigni più impiegati sono Riesling (italico), Vidal (particolarmente celebre in Canada) e Chardonnay, ma non mancano le versioni ottenute da bacca rossa prodotte ad esempio con Cabernet Franc e Blaufränkisch.

Per quanto accuratezza, professionalità e tecnica debbano essere rigorosamente applicate nella produzione degli Eiswein (figurarsi, i tedeschi in questo sono eccellenti!) la grande protagonista, forse più che nelle altre vinificazioni, è la Natura. Le condizioni del tempo e la rigidità delle temperature sono infatti fondamentali per poter circondare gli acini con una capsula di ghiaccio, che ne preserverà infine quella dolcezza unica. Le vinificazioni e gli affinamenti avvengono poi principalmente in acciaio, per esaltare la purezza e la freschezza degli aromi. A detta dei viticoltori tedeschi (e in questo campo, gli crediamo!), è necessario programmare il tutto anno per anno, dalla potatura invernale alla successiva vendemmia verde e infine alla defoliazione prima dell’arrivo del freddo. Il risultato ottenuto non sarà mai il 100% delle uve lasciate in vigna, ma va a buon fine tra il 5% e il 15% della vendemmia, il che spiega, oltre a tutto lo studio ed il lavoro che precede l’imbottigliamento, il prezzo elevato di questa selezione accurata di uve ghiacciate.

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Una sosta ci riporta alla realtà: Tarvisio, confine. Stiamo entrando in Friuli. “Certo che i bianchi del nord est sono eccezionali” dabun! Conferma in dialetto piemontese il mio conterraneo accompagnatore. E già, il buon Avico, mastro degustatore dalle mille risorse, vanta anch’egli una genetica sabauda come il sottoscritto, pertanto sui vini spesso ci troviamo d’accordo. Rossi al centro nord ovest, bianchi centro nord est (non solo ovviamente, ma tendenzialmente…). E quindi Friuli. Tra i vari vini sui quali ci soffermiamo a parlare, Pinot grigio, Sauvignon, Riesling, Chardonnay, Traminer, Picolit (momento, momento, momento…questo merita un articolo a sé..), spunta il nome del Tocai. Ahia, non tocchiamo questo tasto. Perché? Perché il Tocai adesso si chiama…Friulano. Non capisco. Già, dal 2007 la Corte europea del Lussemburgo ha imposto il divieto ai coltivatori friulani, in relazione all’accordo stipulato tra Comunità europea e Ungheria nel 1993, di utilizzare la denominazione Tocai friulano per i vini italiani. Scopo della decisione è tutelare il Tokaji ungherese, vino peraltro dolce e liquoroso, che nasce da un taglio di uve diverse denominate Furmint, Harslevelu e Muskat lunel, coltivate in Ungheria, nella regione di Tokaji. In sostanza, completamente un altro vino. Che poi, ti pare che un vino italiano voglia copiare, quando abbiamo 60 miliardi di produzione agroalimentare italiana contraffatta (dati Coldiretti 2015) e tanto di fenomeno dell’italian sounding? E riusciamo ancora ad essere tra i primi del mondo! Follie. In ogni caso è così, e cambiamo argomento, siamo ubriachi di parole, e il Tocai (non Tokaj!) ci ha dato il colpo finale! Un paio d’ore di relax, poi, stazione, fermata. Luci, tutti svegli, ricominciamo a parlare, l’atmosfera torna frizzante. Già, timing perfetto. Prossima fermata, Treviso. Conegliano-Valdobbiadene, ci siamo capiti. La bolla italiana da aperitivo più famosa al mondo. Il Prosecco. Ma..non vorremo mica liquidare il Prosecco così, in due chiacchiere ed un paragrafo? No, in effetti, per quanto mi sforzi di non andare avanti, da aperitivista convinto non posso non dedicare un pezzo intero al Prosecco. Perché che si tratti del prosecchino-da-bar o di un vero Prosecco come-si-deve, tutti lo bevono, e tutti lo amano. E merita il giusto spazio. Perciò, dopo Vinitaly, potrebbe arrivare anche questo..

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All’altezza di Ferrara infine, la stanchezza prende il sopravvento. Sara il viaggio, sarà la notte, sarà che abbiamo finito i vini di cui parlare sulla tratta. Arrivati a destinazione con la luce del nuovo giorno ed una notte confusamente alle spalle non riesco ad afferrare con precisione questo strano sapore di vino sulle mie labbra. Eppure abbiamo solo parlato, o abbiamo sempre e solo dormito e tutto questo era solo immaginazione…o abbiamo addirittura bevuto davvero tutti quei vini? Non capisco, sarà stato un sogno.. ma Nessun sogno è mai solamente un sogno.

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