L’esecutivo Draghi è nato. Il presidente del Consiglio ha comunicato la lista dei componenti della squadra di governo e c’è già stato il rituale giuramento di fronte al Presidente della Repubblica. Sarò sincero: in un primo momento ho sperato che i nomi rivelati alla stampa fossero uno scherzo.
Una settimana siamo stati a parlare della necessità di un governo politico con nomi autorevoli al suo interno e, a lungo andare, mi sono convinto che la politica attuale lo permettesse. Il risveglio è amaro e solo la situazione emergenziale che ci circonda può farmi ingoiare il rospo. L’unica cosa che chiedo è: per favore, non chiedetemi un grazie.
Non chiedetemi infatti di fingere che questo fosse il governo dei miei sogni. “Non cercare in un viso la ragione, in un nome la passione” come suggerisce Guccini. Se il Conte Bis era un esecutivo da archiviare il prima possibile, non capisco come siano possibili tutte queste conferme nella squadra di governo. Non so voi ma io non vedo l’ora di vedere a confronto la ministra Lamorgese a confronto con Salvini: l’uomo di cui lei aveva il compito di archiviare l’esperienza ministeriale.
Poi esiste, a mio modo di vedere, un certo sadismo nell’inserire nello stesso governo: Di Maio, Gelmini, Carfagna e Brunetta. Uno lo posso accettare, due ci riesco a fatica ma quattro, per uno di sinistra, è al di sopra di ogni possibilità. Certo, era nella forza di cose che vi fossero rappresentanti di ogni partito di maggioranza. E’, inoltre, vero che in Forza Italia non ci sono i moderni De Gasperi o Moro. Tuttavia, penso che fosse dovere di Draghi prepararci psicologicamente: un tenetevi forte prima di elencare i nomi sarebbe stata una mossa apprezzabile.
Il Partito Democratico, invece, piazza Orlando al ministero del Lavoro e, come dalla notte dei tempi, mantiene Franceschini ai Beni Culturali. Il problema è che, come al solito, non si ha mai l’impressione che il PD sia convinto della scelta appena compiuta. Sembra sempre invischiato in situazioni che altri hanno deciso. Ha anche fatto molto discutere l’assenza di ministre di centrosinistra.
Per il Movimento Cinque Stelle, invece, il mio sentimento principale è una vera compassione. E’ il partito che è uscito peggio dalla formazione del nuovo governo e non so quanto sia ampia una frazione di colpa. E’ ancora il partito con la maggioranza relativa in Parlamento ma ha solo ministeri di poco peso tranne il sopracitato Di Maio agli Esteri. Non hanno ottenuto il ministero per la Transizione Ecologica e per questo l’ala movimentista dei Cinque Stelle sta tentando, in queste ore, pretesti per ripetere la votazione su Rousseau. Staremo a vedere non senza curiosità.
Come ho detto sopra, tutte queste criticità potrebbero passare in secondo piano se ci si concentrasse sul contesto in cui nasce questo governo. Potrebbe, anzi, sostenersi che sia stato un merito della politica l’accantonare le divisioni per il bene del Paese. In realtà, non credo che questa sia una lettura corretta di quanto è successo. Ritengo, piuttosto, che il Governo Draghi sia il punto di caduta di una crisi di sistema, l’esito e la dimostrazione di un declino verticale della politica.
Questo governo non nasce da un genuino accordo dei partiti per un fine superiore; all’origine c’è un imperativo del Presidente della Repubblica a fronte dell’incapacità delle forze politiche di risolvere la crisi di governo più insensata della storia repubblicana. Gli spazi lasciati ai politici di professione non sono finalizzati ad un coinvolgimento della politica nella costruzione del futuro della Nazione: è solo una scientifica e geometrica spartizione del potere mentre sono i tecnici ad indicare il domani, le prospettive.
Mario Draghi avrebbe potuto fare a meno di personalità politiche nel Consiglio dei Ministri seguendo l’esempio di Mario Monti. Tuttavia, se i partiti sono coinvolti in prima persona nell’azione di governo, sarà poi più difficile per loro divincolarsi laddove le cose dovessero mettersi male.
Quindi: la politica, di fronte all’emergenza, ha tentato, come nel 2011, di auto-commissariarsi affidandosi alle sapienti mani di un competente tecnico. Il tecnico ha accettato l’incarico ma non si è fidato fino in fondo ed ha preteso la condivisione delle responsabilità. Ecco l’immagine che si presenta: una classe politica incapace e non più credibile. Se questo è lo scenario, è subito pronto lo slogan calcistico: palla a Draghi e c’abbracciamo.