Donne, dove arriva
la gogna mediatica?

Donne, fin dove arriva
la gogna mediatica?

Ecco perché le storie di Carol Maltesi e Sabrina Quaresima
ci devono far riflettere

di Cristina de Palma

Donne, dove arriva
la gogna mediatica?

Donne, fin dove arriva
la gogna mediatica?

Donne, fin dove arriva
la gogna mediatica?

di Cristina de Palma
Donne

Donne, dove arriva
la gogna mediatica?

Donne, fin dove arriva
la gogna mediatica?

Ecco perché le storie di Carol Maltesi e Sabrina Quaresima
ci devono far riflettere

di Cristina de Palma

Ci sono due donne, “protagoniste” loro malgrado della cronaca di questi giorni. 

La prima è Carol Maltesi, 26 anni, uccisa tre mesi fa da Davide Fontana, suo ex e vicino di casa. I dettagli della morte sono raccapriccianti, ma quello che colpisce è l’attenzione, quasi morbosa, dedicata alla vita dei due, o meglio di Carol. 

Infatti, di Davide Fontana si sa unicamente che ha 46 anni, è un impiegato di banca, e vive a Rescaldina. Fine delle comunicazioni. 

Di Carol Maltesi invece, piovono dettagli precisi e puntuali. Si conosce tutto di lei, dal figlio piccolo ai tatuaggi. Sappiamo che aveva lavorato come commessa prima di aprire un profilo sul sito per adulti Only Fans, che ora risulta inattivo. Insomma è entrata nelle nostre vite come fosse una parente. 

E perché si sa tutto di lei e poco di lui? Semplicemente perché Carol, in arte Charlotte Angie, era una pornostar. E questo è un elemento che, per il voyeurismo della carta stampata, è stato usato come fosse una miniera d’oro. Allora via alle pubblicazioni di foto e video, via ai dettagli più intimi sulla sua vita privata. Via al click-baiting più becero, dimenticandoci che la protagonista è stata barbaramente uccisa da un folle sadico, che non ha avuto pietà del suo corpo.

In molti obietteranno che lei, per prima, non si vergognava di dire che lavorava nell’industria del porno e quindi perché omettere quest’informazione? 

Indubbiamente era un elemento che doveva essere riportato, ma sono le modalità del racconto che fanno capire che, dietro questo pullulare di dettagli, non si nasconde la voglia di far conoscere meglio la vittima, ma piuttosto si cela un interesse morboso profondo, quasi pruriginoso.

Su molti giornali e social, gli epiteti rivolti alla ragazza non sono felicissimi (“cattiva ragazza” uno dei migliori). Basti pensare anche al tweet del comico Pietro Diomede di Zelig (che non vogliamo riportare, per rispetto), che ha suscitato tanto scalpore e sdegno, ma che ben fa capire come la pensano ancora molti uomini e donne.  

Non si può fare di tutta un’erba un fascio, ma il problema comunicativo è reale. Ed dovrebbe essere responsabilità dei noi giornalisti riportare i fatti, senza entrare in dettagli inutili. Perché i commenti sui social dimostrano che siamo ancora in un Paese dove le donne che rompono gli schemi, che sono diverse dall’immagine della mamma casalinga tutta dedita al marito e ai figli, sono viste di cattivo occhio e vanno condannate. O per lo meno giudicate. 

La seconda donna messa alla gogna, anche se in modo diverso, è la preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, accusata di aver avuto una relazione con uno studente, prossimo alla maturità. 

E ancora una volta, negli articoli apparsi in questi giorni, della preside conosciamo vita, morte e miracoli, con tanto di foto in primo piano ben visibile e riconoscibile. Del ragazzo, maggiorenne, nessuna notizia. Nome, cognome, età, niente. Eppure, essendo maggiorenne, non si capisce dove sia il reato, ma soprattutto dove sia la notizia, come hanno sottolineato i giornalisti Gaia Tortora e Pierluigi Battista. 

Il punto giornalistico più basso di questa storia è l’aver riportato l’audio WhatsApp del loro addio. Un audio rubato e pubblicato senza pietà, che nulla aggiunge alla notizia, visto che stiamo parlando di due persone maggiorenni e consenzienti, ma che fa capire che la preside aveva mentito. Colpevole o innocente, la sua reputazione è stata compromessa per sempre.

Per carità, si sa che i giornali vivono anche di questo, ma onestamente nel 2022, nei fatti di cronaca, si ha l’impressione una volta ancora che le donne siano sempre “vittime, ma non troppo”

Fateci caso, molto spesso nel riportare i fatti di cronaca nera, vengono inseriti dei “però” che tendono a giustificare la mano violenta degli assassini. Quando si parla di uomini violenti che uccidono le proprie donne le parole descritte negli articoli sono: “piangeva”, “è pentito”, “era ossessionato”, o peggio “lui la esasperava”.

L’impressione è sempre la stessa: se le donne stessero buone a casa, queste cose non succederebbero. E la colpa è anche di noi giornalisti. Se vogliamo parlare di parità di genere, bisognerebbe iniziare a comunicarla meglio tramite i media. Perché al di là delle mimose o delle giornate contro la violenza sulle donne, i preconcetti sono sempre ben ancorati in questa società che si vuole moderna, ma che tanto moderna poi non lo è. 

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