“Perché leggere i classici”

di Redazione The Freak

“Perché leggere i classici”

di Redazione The Freak

“Perché leggere i classici”

di Redazione The Freak

Domenica 7 Aprile

Sono nel cuore del romanissimo Rione Testaccio, al Teatro Vittoria, dove il regista Davide Sacco, con le voci magistrali di Francesco Montanari e Gianmarco Saurino, porta in scena la filosofia di Italo Calvino, partendo in medias res da alcune delle sue più celebri opere narrative.

Il mio primo incontro con l’autore, in verità, avvenne diversi anni fa, quando al liceo, trattammo in maniera piuttosto sconclusionata una parte della Letteratura contemporanea. Si trattò di uno studio spedito e poco approfondito, colpa della mancanza di tempo necessario da dedicare agli scrittori più prossimi alla nostra epoca. La cosa, tuttavia, non mi turbò e, per contro, destò in me una curiosità inarrestabile. Di Calvino mi colpirono l’eleganza e l’intensità: sognante, sempre avvolto in un’aura fantastica, pronto a fuggire dall’umanità per dedicarsi alla meditazione della solitudine. Mi è sembrato, sin da subito, un essere soprannaturale, perfetto nell’esattezza della sua lingua, geniale, irraggiungibile e, sebbene ormai ci abbia lasciati da un po’, a me pare di riviverlo quotidianamente, come se fosse una sembianza reale e concretamente parlasse tramite i suoi discorsi solenni e le sue riflessioni profonde.

Oggi decido di incontrarlo ancora, lo attendo salire sul palco proiettato sullo sfondo e lo ascolto come se fosse un mio affezionato confidente ed insieme dovessimo ritrovarci dopo il confusionario clangore della settimana appena trascorsa; in sua compagnia mi sembra di respirare un momento di pace incontenibile.

Alla proiezione di una delle sue celebri interviste, segue l’ingresso in scena del talentuoso Gianmarco Saurino che, attraverso la sua voce, fa rivivere fervido il pensiero calviniano e traccia vette inesplorate, plasmando la mente dell’uditorio, rendendola malleabile e restituendola poi al resto dell’umanità con una luce nuova, una sensibilità prorompente ed un ardente bisogno di leggerezza. Merito anche del gioco scenico di luci ed ombre, dell’utilizzo di un ombrello prima chiuso e poi d’improvviso aperto che tanto ricorda il surrealismo di Magritte.

è infatti proprio questo ancestrale desiderio di leggerezza il filo conduttore dell’intero spettacolo: la leggerezza con la sua natura bivalente e la soluzione discrimen suggerita dall’autore.

Nel 1985 Calvino tenne un ciclo di lezioni all’università di Harvard, dedicando la prima conferenza proprio all’opposizione leggerezza-peso e sostenendo le ragioni della leggerezza. Il testo fu pubblicato postumo in “Lezioni americane – Sei proposte per il prossimo millennio” edito da Mondadori. Calvino rifletté sulla leggerezza in quanto perfetto contrario della pesantezza del mondo che, a sua volta, può essere sconfitta solo dal suo contrario.

La leggerezza viene considerata dall’autore come un valore, anziché un difetto, che si discosta dalla superficialità e si associa alla precisione, alla determinazione, non alla vaghezza né all’abbandono al caso. Per dirla alla Paul Valéry, la leggerezza è più “simile ad un uccello in volo che alla sua piuma”.

La leggerezza e l’ironia, dunque, sono virtù preziose che permettono, a chi le possiede, di affrontare i più grandi e complessi interrogativi del Mondo, senza mai perdere in originalità. E tra questi massimi interrogativi vi possono rientrare, in piena regola, l’origine dell’universo, umoristicamente spiegata da Calvino ne “Le cosmocomiche” e l’importanza dei classici, di questi “potenti talismani” letterari in grado di esercitare nella memoria storico-collettiva un’influenza tanto salvifica quanto disorientante.

Ci si ritrova così catapultati nel vivo dello spettacolo, con una parola chiave (i.e. leggerezza) ancora da indagare e l’intento della regia di portare in scena la cosiddetta sottrazione di peso, operazione costante nella produzione letteraria calvinista.

La scenografia, infatti, si presenta spoglia, ai lati compaiono soltanto delle scrivanie ricolme di libri accatastati, di quel vasto sapere “on hand”.

Le ombre di Saurino e del suo ombrello svaniscono gradualmente nel nulla ed è proprio in questo momento che fa il suo ingresso in scena Francesco Montanari.

Egli fa suo il pathos narrativo ed entra subito in contatto con lo spettatore, instaurando con quest’ ultimo un dialogo tanto divertente quanto pregno di efficacia comunicativa. Sarà poi lo stesso Montanari a cercare di spiegare alcune delle più ermetiche affermazioni dello scrittore, provando, scherzosamente, a consultare la voce robotica di Siri e la sua inesauribile fonte di notizie, alias Wikipedia.

Montanari veste i panni di commentatore delle opere di Calvino per poi calarsi, verso la fine dello spettacolo, in quelli di Umberto Eco, nello sforzo di trovare analogie e connessioni tra questi due grandi scrittori italiani.

Calvino scrisse che “i classici sono libri che non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire, che possono costituire un paradigma di bellezza per l’umanità, costituendo una ricchezza per chi li ha letti e amati, ma altrettanta ricchezza per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli”.

Resta, pertanto, viva in Calvino l’idea che i classici possono, anzi, devono essere letti ad ogni età poiché il loro messaggio è universale ed è sopravvissuto allo scorrere inesorabile del tempo oltre che alla selezione naturale. Fortuna hanno coloro che si imbattono nei classici in età matura, che hanno il privilegio di leggerli per la prima volta con la consapevolezza di un adulto, scorgendo dell’opera le sue più affascinanti sfaccettature.

I classici sono “i best sellers sopravvissuti ai secoli” esordisce scherzosamente Montanari ed in quanto tali ritraggono, momento per momento, un periodo storico esatto, in cui si collocano e di cui riflettono valori e tradizioni sociali.

Allo stesso modo, Umberto Eco nel brano “Elogio ai classici” contenuto nel libro “La bustina di Minerva” sostiene che in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo si rischia di non sapere più chi siamo e così un classico “non solo ci dice come si pensava in un tempo lontano, ma ci fa scoprire perché oggi pensiamo ancora in quel modo”. “La lettura dei classici è un viaggio alle radici. Ogni lettore che scopre i classici è come un americano, naturalizzato da infinite generazioni, che avverte il bisogno di sapere qualcosa sui propri antenati, per ritrovarne la presenza nei propri pensieri, gesti, tratti del volto”.

Lo spettacolo si conclude con la comparsa in scena di Saurino, reincarnazione della filosofia di Calvino, seduto su un’altalena sospesa al centro del palco; alle sue spalle s’illumina uno sfondo opaco che sembra suggerire un dialogo tra l’autore e la coscienza dell’uditore: espediente del regista per augurare allo spettatore, una volta uscito dalla sala, un piacevole momento di introspezione psicologica.

Esco dal Teatro Vittoria alle luci del vespro, in quel momento della giornata in cui il cielo si prepara ad annunciare l’arrivo del tramonto. è un momento di pura grandiosità celeste, carico di mistero ma anche di malinconia. Decido di affidarmi alle parole di Calvino e provo a liberarmi di questo macigno sul cuore, così alzo la testa in direzione del cielo, osservo gli alberi sullo sfondo e le luci appena accese dei bar sulla strada. Continuo la mia passeggiata, sorrido, il senso di disorientamento svanisce nel vento.

di Enrichetta Glave,all rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati