Disinformazione di ‘ndrangheta

di Redazione The Freak

Disinformazione di ‘ndrangheta

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Disinformazione di ‘ndrangheta

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La ‘Ndrangheta viene definita la mafia perfetta e globalizzata, la mafia che ha imparato dagli errori delle altre mafie, che è rimasta sempre defilata, che ha evitato, quando le è stato possibile, lo scontro frontale con lo Stato. La sua pervasività e la sua forza, allo stato attuale, la rendono la mafia più potente del mondo. Allora perché per lungo tempo è stata considerata solo un sostantivo dalla sonorità sgradevole?

La società civile ha ignorato il fenomeno quando era sommerso, lo ha trascurato quando era emergente, e lo ha reso oggetto di convulse e apparenti attenzioni quando non era più controllabile. In un libro dal titolo “Dimenticati”, i due autori Chirico e Magro, dichiarano:  “l’informazione non è esente da responsabilità; non ha saputo raccontare, non ha avuto la curiosità di conoscere e capire, è diventata parte del potere e si è fatta utilizzare. Si è fidata solo di poche e selezionate fonti. Gli inviati arrivati in Calabria hanno inventato dichiarazioni, costruito mistificazioni, scritto editoriali spocchiosi e superficiali.” Il giornalista Lirio Abbate è esplicito “esiste un rischio: quello che l’informazione resti irretita in un contesto opaco e strumentale per i poteri mafiosi.

Le mafie sono interessate all’informazione, in particolare a quella locale, non mancano esempi più o meno clamorosi, più o meno noti. L’atto di accusa contro i media deriva anche da Pino Arlacchi, autore di un testo destinato a fare la storia delle mafie: “Mafia Imprenditrice”, “le cause primarie della sottovalutazione della ‘Ndrangheta sono la pigrizia e il disinteresse per i fatti della regione Calabria.” Lo scrittore Corrado Alvaro scriveva “la Calabria dice alla maggioranza delle persone cose assai vaghe”.

L’immagine della regione si è andata ulteriormente a sfocare, e la geografia romantica otto-novecentesca ha lasciato il posto a quella criminale, facendo in modo che, se di Calabria si parla, lo si faccia sempre, o quasi, a proposito della ‘Ndrangheta. La mafia Calabrese, in altre parole, è stata talmente potente da inglobare e inghiottire l’immagine di un’intera regione. Accanto al disinteresse per il territorio, che ha indotto i giornalisti che venivano da fuori ad andare alla ricerca dell’ennesimo caso di omertà, dell’ennesimo scandalo di terz’ordine e dell’ennesima macchietta da schernire, si accompagnano varie tesi, che, in momenti diversi, hanno orientato le analisi giornalistiche: dalla tesi negazionista, che per anni ha relegato le mafie solo in alcuni contesti territoriali, a quella che potremmo definire tesi straniante e viziata da pregiudizi: la Ndrangheta come mafia stracciona e miserabile, gli ‘ndranghetisti come arcipelago confuso di briganti e vecchi pastori arricchiti o braccianti incolti divenuti le colonnelle dell’eroina. Queste tesi spopolano sulla stampa in una prima fase, quando il fenomeno era sommerso; con il nuovo millennio emerge la tesi allarmista, che inquadra il fenomeno in un’ottica ristretta: quella emergenziale, di allarme sociale. Come fa notare Roberto Salvatore Rossi il tema “mafie” subisce, più di altri, un’informazione discontinua, a singhiozzo, che riserva grande attenzione al singolo fatto di cronaca clamoroso e sanguinoso, salvo poi non riuscire a sviluppare, in seguito, una voce narrante in grado di problematizzare e razionalizzare il fenomeno nel suo insieme. Se in un primo momento, quindi, la ‘ndrangheta soffre del pregiudizio che la vede relegata in un angolo, complice la disattenzione da una parte, e dall’altra  la profonda convinzione che sia solo una mafia di serie B, figlia di Cosa Nostra, in un secondo momento, quando il fenomeno si impone mediaticamente per la tragicità di alcuni eventi, uno su tutti la strage di Duisburg, avvenuta in Germania il 15 agosto del 2007, si assiste a una spettacolarizzazione del fenomeno, reso oggetto si convulse e imprecise analisi. La così detta faida di S. Luca che è all’origine dell’eccidio di Duisburg, ad esempio, viene letta, secondo l’interpretazione dell’antropologo Vito Teti, attraverso due chiavi di lettura: o come manifestazione di atavismo e arcaicità, o secondo una narrazione moderna e modernista della faida, intesa solo come esito della volontà di produrre economia “legale”. Questo è solo uno dei casi che è utile indagare per comprendere come la stampa nazionale e internazionale abbia il suo carico di responsabilità. La ’ndrangheta, tuttavia compie una seria e oculata scelta di campo: reclama visibilità per affermare il controllo dei territori a sovranità limitata, eccetto poi defilarsi quando si indaga sui legami che la collegano ai poteri occulti, a parti dello Stato e dell’Economia, creando il così detto sottobosco di illegalità, in un’ ottica che inquadra tale criminalità organizzata, come tutt’altro che antistatuale, un aspetto che è pur sempre presente nella logica mafiosa, ma che si va sfumando verso la soluzione del Sottostato dentro lo Stato, non in opposizione allo Stato, ma interno ad esso. Se a ciò aggiungiamo il deficit informativo della Calabria, regione che ha l’indice più basso di lettura e consideriamo il panorama degli organi di informazione calabrese, possiamo individuare un ulteriore motivo che ha contribuito a creare il cono d’ombra mediatico sulla Ndrangheta. Fino al 1995 “La gazzetta del Sud” deteneva in pratica il monopolio dell’informazione nella regione. L’isolamento al quale vengono costretti molti giornalisti è aberrante; spesso sono l’unica voce informativa negli avamposti calabresi, la pratica degli avvertimenti ai cronisti è più frequente che in qualsiasi parte d’Italia. Da qualche anno a questa parte,  i mezzi di comunicazione e i singoli attori mediali hanno compreso lo straordinario ruolo che possono e devono ricoprire in questa complicata e difficile parentesi antidemocratica della società italiana, come fa osservare il pm Pierpaolo Brunil’informazione può scalfire il monopolio delle coscienze, può svelare i perversi meccanismi di sfruttamento delle risorse del territorio, può essere lo spartiacque, può minare l’esistenza stessa delle cosche, a patto che sia incisiva e di denuncia.”

di Chiara Ubbriaco, all rights reserved

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