IL DIO SERPENTE PIUMATO

di Edoardo Orlandi

IL DIO SERPENTE PIUMATO

di Edoardo Orlandi

IL DIO SERPENTE PIUMATO

di Edoardo Orlandi

Si ritorna, dopo una lunga pausa, sulle infinite vie che il mare prospetta a chi ha voglia di conoscenza.

Esiste, per chi vive da anni il desiderio che arrivi il giusto vento, una sensazione, il pensiero che il nuovo itinerario possa portare al di là della materia. In realtà ogni viaggio, che si conclude sempre in posti diversi, ha la stessa natura materiale del luogo di partenza: si parte dalla spiaggia e su questa si approda; si abbandonano i cari con la speranza di ritrovarli negli occhi di chi abita altrove.

La vigilia ha invece sempre la tensione per qualcosa di inconsistente, un’isola dell’immaginazione. La mente scorda gli stretti lacci che ci ancorano al mondo e si trascina nei luoghi del sarebbe possibile, delle città invisibili ancora tutte da costruire. Il ricordo dei tempi passati veste di mito il viaggio che sarà e, prima ancora di partire, fermi sulla soglia di casa, sembra quasi che la strada sia già arrivata al termine. Tutto finisce quando la mente smette di vivere sovrappensiero e decide di ritornare sulle coste della propria corporeità, sulle mani che hanno il martello nella morsa del pugno. Si ritorna alle mansioni della vita quotidiana con la sicura certezza di poter tornare, quando si vuole o si ha tempo, nei cunicoli teorici e sulle vivide immagini che lasciano di stampo un sorriso. il dio serpente

Il viaggio del pensiero porta, se si tengono con forza i cavalli, nel mondo iperuranico della filosofia o sulle linee infinite del teorema di Pitagora, ma continuando a salire sui percorsi tracciati dagli dei e dagli eroi l’uomo si perde, e prende parte alle mitologie di ogni tempo divenendo esso stesso attore ed agente mitopoietico. Così è avvenuto tra i popoli aztechi dell’altopiano del Messico. Nelle forme e nei colori della pittografia, allora, ha preso vita il racconto duro e lucido di un passato che, calato nel presente, ricopriva di senso la vita quotidiana di qualsiasi uomo.

Nei tempi antichi lo scorrere delle ore aveva una circolarità nietzschiana, ed i calendari portavano ancora i segni e le ferite delle ere precedenti. Più volte il mondo aveva smesso di girare, di generare la vita dalla morte, divenendo una traccia assente di se stesso. La paura degli uomini era che il sole non potesse più sorgere; e così infatti un giorno accadde. A ciò dovevano porre rimedio un uomo ed un dio, figli della stessa mentalità. Quetzalcoatl, prima dio poi re antico della città di Tullan, riporta nel presente l’eterno ritorno di un passato che attesta la vittoria sulla morte. Esso è l’unione di due animali totemici: l’uccello quetzal che si riveste delle squame del serpente.

Dopo diverse ere il mondo è tornato ad assaggiare le amare note dell’inerzia. Il sole è immobile al di sotto dell’orizzonte e non ha intenzione di montare. In questo stato di morte apparente, Quetzalcoatl decide di compiere un lungo viaggio per le oscure vie degli inferi affinché ogni passo risolutivo non avvenga senza il sacrificio corporale, la mortificazione spirituale. Ad attestare il viaggio del dio è l’astro di Venere. Il suo moto di 584 giorni, racconta l’anziano accanto al focolare indicando il pianeta, prevede che 8 di questi siano vissuti al di sotto dell’orizzonte terrestre, in ricordo del viaggio discetico di Quetzalcoatlil dio serpente piumato, particolare

Scende le scale credendo di essere arrivato in fondo, ma si aprono crateri immensi che portano ancora più giù, ancora più silenzi. Quetzalcoatl sente una voce; i rumori non provengono più dalle cose e arrivano confusi. L’anima si triplica. Le squame di serpente cadono al suolo mentre l’uccello quetzal urla e cerca di scappare. Sente una voce. Quetzalcoatl sente la sua voce ripetere. Ripete le cose e non ricorda, e tutto il buio lo avvolge. Le gambe non si muovono ed un abbaglio, un’illusione rapisce gli occhi nell’oscurità facendo credere di aver visto una luce. Ora un grido, un abbaglio. Di nuovo un grido; qualcuno che abbaia. È Xolotl, fratello gemello di Quetzal, che corre in suo aiuto.

È nelle vesti di Xolotl, il doppio di Quetzalcoatl che ha per sembianze quelle di un cane, che il serpente piumato può continuare il suo viaggio. L’essere tripartito riesce a riprendere il senno perduto e a prelevare dagli inferi le ossa e le ceneri degli antichi antenati con le quali, aggiunto il suo sangue, darà vita agli uomini, al primo uomo.

È in forma di uomo che Quetzal può continuare il suo viaggio. La dura vita del sacerdozio è la via che porta al ristabilimento del movimento universale; ed è con i sacrifici corporali e le abnegazioni che il dio/uomo si renderà degno della prova finale: il sacrificio corporale.

Nel braciere della città di Tullan un uomo, travestito da Quetzalcoatl e con le ceneri della propria genia nella mano destra, si ricopre di fiamme in un lento lamento. L’atto è compiuto, il sacrificio corporale penato, il senso messianico lasciato al racconto così che venga tramandato. Risorge quindi Venere da sotto la cortina e scompare dietro i raggi di un sole che è sorto di nuovo. Monta ora dalle vette dell’est il Quetzalcoatl risorto come stella del mattino, come Signore dell’Aurora che illumina di brina i colli e i templi.

Questo è quel che si narra, quel che narra l’anziano a testa in su con l’astro di Venere stampato nell’occhio, e un ragazzo lì seduto ascolta pensando a quel che sarà. Tutto sarà come è già stato e nulla è lasciato al caso. Perché questo è certo: in onore di Quetzalcoatl vivrà il ragazzo, sacrificando la propria vita in battaglia o quella del prigioniero sul patibolo.

Nulla avrebbe fatto pensare, né vi è viaggio o mitologia che sappia, come il futuro a volte sia più oscuro di quel che si tramanda; com’è banale se di lui se ne fa un nuovo approdo, e una croce infissa nella spiaggia.

di Edoardo Orlandi, all rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati