Diario di viaggio. Terra santa? (1)

di Redazione The Freak

Diario di viaggio. Terra santa? (1)

di Redazione The Freak

Diario di viaggio. Terra santa? (1)

di Redazione The Freak

 

 

The Freak è lieta di pubblicare – in tre atti – i racconti del viaggio del suo redattore, Andrea Lisi, in Israele, datato 2010. Fonte: 

 

Una piccola memoria di quello che sono stati i miei mesi in Israele nel 2010. di Andrea Lisi

Come meta della prima seria e lunga esperienza fuori dal proprio paese scegliersi la martoriata Palestina è stato abbastanza facile. È capitato così. È capitato Israele, e andava bene. La curiosità  prima di qualsivoglia idea sedimentata da questa parte del Mediterraneo. Il ritornello che mi è girato in mente per tutto il tempo che sono stato in Medio Oriente, e dopo il ritorno in Italia, è stato, e ancora è: ma quale Terra Santa, questa è una terra maledetta, la Terra dell’Assurdo e della Disperazione.

Dal mio privilegiato punto di osservazione (quello di un occidentale libero di muoversi, andare e tornare) ho osservato per mesi un luogo che racchiude in sé (e lo si nota soprattutto a Gerusalemme) tutte le contraddizioni del genere umano, potenziandole drammaticamente. Da filo-palestinese (considerandomi tale da quando ho iniziato a interessarmi di questo conflitto) la mia convinzione è sempre stata ed è ancora che, essenzialmente, gli israeliani quella terra l’hanno rubata.
Ma, lungi da me il rinunciare alle possibilità  di mettere alla prova le mie convinzioni, quando mi è capitato di poter passare un semestre a studiare a Beer Sheva non ci ho pensato due volte e ho colto la sfida al volo. Vedere, vedere, vedere; il programma di scambio di Roma Tre con la Ben Gurion, una delle principali università  israeliane, mi avrebbe permesso di fare alcuni esami (niente di così utile ai fini della mia laurea italiana in scienze politiche) e magari effettuare qualche ricerca per la tesi. Il motivo principale era vivere l’esperienza della solitudine, crearmi spazio e tempo adatti per fermarmi a pensare e valutare la mia vita a ventitré anni compiuti e consumati. Non mi è sembrato tanto strano fare ciò in un luogo lontanissimo da casa, in una terra pericolosa e abitata da gente decisamente diversa, su cui esercitare le mie febbricitanti facoltà  di analisi socio-psicologica.

Certo, escludendo per un momento dal racconto le impressioni raccolte dalle persone, ammetto di aver provato grande familiarità , specialmente salendo su per le brulle colline di Betlemme e Gerusalemme, così simili a quelle che si trovano dalle mie parti, tra Gaeta e Itri, nonché osservando il mare, la luce, i gabbiani e gli odori della spiaggia che da Tel Aviv porta all’antica Giaffa, pensando alle speculari sensazioni provate lungo tutta la mia vita a Serapo e sulla Riviera di Ponente. Certo, andavo per studiare, ma in verità  urgeva più d’ogni altra cosa la necessità  del Cambiamento, della Prova. Qualcosa di cui sentivo il pressante bisogno, ancora più che di laurearmi o fare il solito erasmus in Spagna, come molti altri miei coetanei. Nella mia testa neanche mi consideravo più uno studente, quanto piuttosto un curioso, e ho vissuto così con entusiasmo, ciò che tale periodo mi ha portato: sia le (preponderanti) sensazioni negative, che quelle (comunque tante) positive.

Col passare dei giorni e dei mesi ho avuto sempre più l’impressione che stavo modellando l’argilla; la materia tendeva via via a indurirsi, sotto il sole cocente del deserto. Ciò, in fin dei conti, per l’incontro/scontro con una società  tanto distante dalle mie logiche (quelle della mia generazione, quelle della mia terra, quelle dell’Europa e dell’Occidente pacificato). Ho quindi scolpito una coscienza e un carattere più forte di ognuno dei tanti me precedenti; fatalmente e progressivamente, senza possibilità  di ritorno.

(continua)

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