Di reddito di cittadinanza, flat tax e governo gialloverde: l’unione dei mondi

di Mauro Mongiello

Di reddito di cittadinanza, flat tax e governo gialloverde: l’unione dei mondi

di Mauro Mongiello

Di reddito di cittadinanza, flat tax e governo gialloverde: l’unione dei mondi

di Mauro Mongiello

Dal 4 marzo in poi, l’avventura politica italiana ha conosciuto due paradigmi di rilievo: il cambiamento e la contrapposizione. Il giallo del Movimento 5 Stelle con il verde della Lega, il Sud e il Nord riuniti sotto la bandiera della svolta “a tutti i costi” sono tenuti insieme dai due provvedimenti cardine della campagna elettorale portata avanti dai partiti alla guida del Paese: da un lato, il reddito di cittadinanza, misura più volte messa sul tavolo dagli esponenti grillini e, probabilmente, la chiave di volta del successo elettorale pentastellato al Sud; dall’altra, la flat-tax leghista, l’aliquota d’imposta unica, vera e propria manna dal cielo per i paròn del Nord.

Il piano politico, almeno negli intenti del Governo, segue una direttrice ben specifica: non solo permettere che una forma di sostentamento pubblico possa supplire alla mancanza di un reddito fisso per coloro i quali sono alla ricerca di un posto di lavoro, ma anche consentire alle imprese di operare in condizioni di maggiore disponibilità, attraverso l’abbattimento del cuneo fiscale e della pressione sui propri conti.

A questo punto, una domanda sorge spontanea: cosa sono, nello specifico, reddito di cittadinanza e flat-tax? La domanda, a voler essere capziosi, andrebbe posta anche agli uffici competenti dei vari ministeri, posto che, ad oggi, non sono ancora ben chiare né per l’opinione pubblica né per l’Europa le coperture e le cifre esatte destinate ai due provvedimenti; si parla di dieci miliardi di euro nel primo caso e di 1,7 miliardi su un triennio nel secondo caso. Rimanendo su schemi generali, si tratta di due elementi di diversa matrice ideologica: da “sinistra”, una fonte di sostentamento economico per coloro i quali non riescano a trovare collocazione sul mercato del lavoro; da “destra”, una riduzione delle tasse per il ceto imprenditoriale, più libero di smuovere capitali e idee.

Storicamente, molte battaglie della sinistra politica ed extraparlamentare si sono combattute sul terreno del reddito universale, a supporto delle fasce più deboli della popolazione, generalmente individuate in quelle per cui le porte del mondo del lavoro rimangono chiuse. Dall’altra parte, l’abbassamento della pressione fiscale è sempre stato uno dei capisaldi della ricetta economica liberista, nella convinzione secondo cui il mondo delle imprese, l’unico in grado di creare posti di lavoro, avrebbe tratto giovamento da un minor costo del lavoro, in termini impositivi, e da un generale taglio ad aliquote quali quelle dell’IRES.

Una visione, questa, consolatoria per quanti hanno votato il Movimento da sinistra e non particolarmente applicabile alla “realtà” italiana per come la immaginano Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Consolatoria perché, a differenza di tante proposte provenienti dal mondo della sinistra extraparlamentare, ma anche da elementi di natura progressista, il reddito di cittadinanza grillino non è una misura di redistribuzione del reddito, né un qualcosa di lontanamente avvicinabile a forme di reddito universale. Secondo i desiderata pentastellati, chi rientra nell’ambito di funzionamento del RdC –sperando che qualcuno, prima o poi, stampi le tessere ospitanti i circa 780 euro mensili previsti- nei successivi tre anni dovrà partecipare a corsi di formazione professionale, iscriversi ai centri per l’impiego, accettare obbligatoriamente almeno una delle prime tre offerte di lavoro giunte. Tutto ciò potrebbe tranquillamente portare un padre di famiglia napoletano a dover emigrare al Nord per svolgere un qualsivoglia tipo di prestazione, non essendo necessariamente in possesso delle qualifiche utili. Insomma, non c’è nulla che entri in competizione coi salari degli occupati, rialzandone gli stanziamenti ad opera delle imprese. Non è particolarmente aderente al reale funzionamento delle cose, d’altro canto, poiché la piaga del lavoro nero è un triste stato delle cose in molte delle realtà territoriali nelle quali, suppostamente, tale misura dovrebbe maggiormente attecchire.

A ben vedere, la stessa flat-tax, oltre a violare almeno un principio costituzionale quale quello dell’art. 53 secondo comma della Carta, il quale sancisce il principio di progressività delle imposte, finisce per essere un provvedimento di grande impatto mediatico, ma di scarsa incisività all’atto pratico, almeno per quelle che sembrano essere le anticipazioni dei contenuti della manovra. Se la politica degli sgravi non ha premiato il governo Renzi, facendo registrare un drammatico crollo delle assunzioni dopo i tre anni di incentivi previsti dal Jobs Act, si fa fatica a comprendere (o almeno, si fa finta di far fatica) come questa circostanza possa in qualche modo distanziarsi da tali effetti.

Se vogliamo, basterebbero già queste poche battute per esprimere un giudizio compiuto su quanto effettivamente la tenuta del Governo possa essere forte e duratura. Difficile far quadrare i conti, sia economici che politici, di una manovra nella quale vengono riversate due concezioni, almeno all’apparenza, diametralmente opposte su come far ripartire l’economia. Difficile, almeno sulla carta, tenere insieme l’esigenza del giovane disoccupato meridionale che tenta di accedere al RdC con il piccolo imprenditore veneto o lombardo in cerca di sgravi fiscali per la propria attività. A ben vedere, è proprio questa dicotomia a fungere da collante per l’esecutivo: l’iperattivismo di Matteo Salvini è accettato supinamente dal Movimento, che resta in attesa di veder realizzato quello che nel Contratto di Governo rappresenta il suo cavallo di battaglia.

Di fronte a questo scenario, il Ministro Giovanni Tria, magistralmente interpretato da Maurizio Crozza nel suo “Fratelli di Crozza”, assume sembianze vividamente reali.

Non vorremmo essere nei suoi panni, o in quelli di Giuseppe Conte, quando questo apparato di riforme dovrà nuovamente essere vagliato dai commissari europei.

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