Ddl Zan: solo lotta alla discriminazione?

DDL Zan: lotta alla discriminazione o reato di opinione?

Sicuri che la sanzione penale sia l'arma più giusta?

di Pietro Maria Sabella

Ddl Zan: solo lotta alla discriminazione?

DDL Zan: lotta alla discriminazione o reato di opinione?

DDL Zan: lotta alla discriminazione o reato di opinione?

di Pietro Maria Sabella
DDL Zan

Ddl Zan: solo lotta alla discriminazione?

DDL Zan: lotta alla discriminazione o reato di opinione?

Sicuri che la sanzione penale sia l'arma più giusta?

di Pietro Maria Sabella
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Premessa

In questi giorni il dibattito intorno all’approvazione in Senato del DDL Zan è diventato così centrale da catalizzare l’attenzione di gran parte dell’opinione pubblica nazionale. L’esigenza di dotare l’ordinamento di strumenti normativi atti a prevenire forme di discriminazione e violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere e sull’orientamento sessuale è sicuramente primaria. L’ondata di violenze perpetrate nei confronti di molte persone in tutto il mondo, per il sol fatto di avere un orientamento sessuale diverso da quello maggioritario, dimostra la gravità della situazione e l’opportunità di agire.

Lotta alla discriminazione: i fondamenti

Del resto, la lotta alla discriminazione, in tutti i suoi profili, non può che essere un traguardo fondamentale per ogni democrazia avanzata, per ogni comunità che intenda garantire l’eguaglianza sostanziale di ogni cittadino. In questo senso, già la nostra Carta Costituzionale ha fornito alla Repubblica, con l’art. 3, un principio che impone al Legislatore di salvaguardare l’eguaglianza di tutti gli individui innanzi alla legge senza alcuna distinzione di sorta. Sia essa determinata da ragioni religiose, etniche, sessuali o politiche.

Per di più, compito della Repubblica è rimuovere ogni ostacolo che possa impedire una oggettiva e sostanziale eguaglianza.  Ciò significa che questi valori non possono e non debbono rimanere lettera morta, ma vanno trasfusi in concreti provvedimenti e comportamenti che diano atto e risposta a questa esigenza.

Allo stesso tempo, anche la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e numerosi atti normativi internazionali, fra cui in particolare la Convenzione ONU del 1965 contro la discriminazione per ragioni razziali, ci proiettano verso il superamento di ogni discriminazione che possa essere di ostacolo alla coesione economica e sociale. Dunque, è sicuramente necessaria un’adeguata tutela, un’effettiva presa di posizione. Su questo tema, pertanto, non possono essere accolte obiezioni di sorta, paventate da sensibilità o orientamenti soggettivi. Tuttavia, occorre essere ben prudenti nell’impiego degli strumenti giuridici “migliori” per raggiungere tale risultato. Ed il DDL Zan si caratterizza anche per scegliere la sanzione penale come strumento di prevenzione e contrasto a questo genere di discriminazione.

Il DDL Zan e la norma penale

Il Disegno di Legge, infatti, oltre a prevedere l’istituzione di una giornata dedicata alla lotta alle discriminazioni (17 maggio) e lo stanziamento di quattro milioni di Euro all’anno per iniziative di contrasto al fenomeno, intende intervenire anche nella materia penale.

In particolare, la proposta di legge vorrebbe modificare l’art. 604-bis c.p., già introdotto nel nostro sistema nel 2018 per contrastare la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, prevedendo che la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa di € 6000 possano essere applicate anche a chi propagandi idee fondate <<sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere>>.

Anche la circostanza aggravante di cui all’art. 604-ter c.p., che recita: <<per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso…>>, viene arricchita con la finalità discriminatoria per ragioni di orientamento sessuale o di identità di genere.

Ecco che il profilo di riflessione sul quale ci si vuole qui concentrare, seppur molto sinteticamente, attiene proprio all’uso della norma penale e della sua sanzione, la più critica, la più complicata da gestire e usare, soprattutto quando viene chiamata ad operare con finalità “educative” o “moralizzanti”.

DDL ZAN

E tale riflessione è finalizzata, non tanto a fornire una risposta, quanto piuttosto a instillare dei dubbi, se si ricorda che il diritto penale non possa avere funzioni eticizzanti ed educative in un sistema democratico e liberale, soprattutto quando la tutela di un bene finisce per incrinare l’equilibrio dei valori costituzionali nella sua generalità, in primis, a discapito della libertà personale e in questo caso manifestazione del pensiero.

Ciò perché, in primo luogo, il diritto penale “simbolico”, “educativo”, finirebbe per operare come “arma a doppio taglio”, come strumento in sé criminogeno e con capace di assolvere ad una sperata efficacia preventiva, in assenza di preesistenti riferimenti giudico-normativi, ma anche sociali, in grado di impedire che per tutelare un certo bene si possa arrivare alla pena.

Il rischio principale è dunque quello di causare lacerazioni individuali e sociali più gravi di quelle che, in astratto, si intende prevenire. Il diritto penale, infatti, dovrebbe essere usato solo laddove tutte le altre misure preventive e sanzionatorie risultino essere inefficaci, dunque come extrema ratio.

Peraltro, l’uso della pena va sempre gestito con parsimonia, con prudenza, poiché, in sé, non è in grado di colmare le lacune derivanti dall’assenza di una valida politica sociale e culturale, né a costruire paradigmi etici, laddove questi non esistano o non siano comunemente accettati.

La trattazione meriterebbe un maggior approfondimento, qui impensabile, che dovrebbe evidenziare tutti i potenziali contrasti con il principio di tassatività della norma penale, che emerge con forza quando la condotta punita consiste non in un fatto materiale ma nell’espressione di un pensiero, nonché con i principi proporzionalità e ragionevolezza della sanzione.

Può dirsi proporzionata la pena della reclusione fino a sei anni per una condotta priva di un substrato materiale? Probabilmente il Legislatore avrebbe potuto sfruttare quest’occasione per arricchire il nostro sistema con gli strumenti tipici della giustizia riparativa, in cui il “torto” causato si ristora non attraverso l’espiazione della pena in carcere (almeno non solo quella) ma con attività finalizzate a riconciliare le parti e a far comprendere realmente al reo la dannosità del comportamento posto in essere.

Ma ciò che si vuol lasciare intendere è che la lotta alla discriminazione, in questo caso sessuale, merita e necessita in realtà di strumenti culturali, sostenuti da ampi investimenti, da promuovere nelle scuole, fra la comunità, nei luoghi di lavoro, in cui la discriminazione assume forme concrete, che degenerano nell’estromissione dalla posizione e dalla dignità che ciascuno di noi merita.

Pensare di attribuire questa funzione solamente alla sanzione penale significa abdicare totalmente alla sfida più difficile e complessa alla quale la nostra società non può sottrarsi, ovvero quella di costruire un percorso verso l’eliminazione delle più subdole e speciose discriminazioni e violenze di genere, percorso che merita attenzione, tempo, cura e profusione di impegno da parte di tutte le componenti che costituiscono l’ossatura della nostra società.

Conclusione

Abbondare con i reati di opinione, soprattutto quando le norme che si vuol introdurre non prevedono condotte assolutamente determinate (basti pensare che il concetto di identità di genere non ha una definizione normativa preesistente), significa aumentare le incertezze, se non addirittura le arbitrarietà, dunque concorrere a creare un sistema ancor più confuso e meno ragionevole.

Tant’è che la Commissione per gli Affari Costituzionali è dovuta intervenire in merito all’art. 3 della legge approvata alla Camera e che introduce una clausola di salvaguardia dell’art. 21 Cost., ponendo la condizione che la formulazione finale della norma chiarisse puntualmente che: <<non costituiscono istigazione alla discriminazione la libera espressione delle idee o la manifestazione di convincimenti o di opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, nonché le condotte legittime riconducibili alla libertà delle scelte, purché non istighino all’odio o alla violenza, ossia non presentino un nesso con atti gravi, concreti ed attuali>>.

Ecco che il rischio di creare un corto-circuito del sistema appare sicuramente prevedibile, dunque evitabile.

Se si vuol caricare il diritto penale di una funzione simbolico-promozionale, bisognerebbe in primo luogo non essere equivoci riguardo al significato e al contenuto del simbolo che si vuol prendere a riferimento. Senza considerare che le frequenti oscillazioni di tendenza della politica-criminale alle quali siamo ormai abituati hanno quale unico e reale precipitato, oltre a quello di frustrare la materia penale, quello di renderci ancora più fragili e soli.

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