DAVID BOWIE: THE RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST AND THE SPIDERS FROM MARS
Ci piace ricordarlo nell’impersonificazione della più riuscita delle sue maschere, nel più brillante dei suoi travestimenti.
All’apice del successo artistico e commerciale David Robert Jones, meglio conosciuto col nome David Bowie, fu Ziggy Stardust, letteralmente Ziggy polvere-di-stelle, il suo alter ego protagonista di questo lontano album del 1972.
Nel corso della carriera, Bowie ha goduto di molti momenti di gloria e di attenzione presso la critica, e se qualche piccolo passaggio a vuoto non ne ha scalfito l’ immagine, sempre accurata e studiata nei minimi dettagli, l’ abilità compositiva e l’ inventiva ne hanno portato al successo i dischi, ancora apprezzati dal grande pubblico.
Siamo all’ inizio degli anni 70, periodo colmo di fermenti e di rivoluzioni culturali e musicali, e il Duca Bianco è reduce dal successo del suo primo grande Album, quell’ ‘Hunky Dory’ capace di coniugare un raffinato pop d’ avanguardia con una melanconia folk un po’ retrò, regalando al pubblico successi eterni come “Life on mars” e “Changes”, quest’ ultima anticipatrice della filosofia del personaggio, fautore e precursore di cambiamenti di musica e di stile, all’ interno di un Rock and roll orecchiabile e mai banale.
Bowie decide di sfidare il bigottismo della società dell’ epoca, di fare sul serio, e trova così il suo alter ego nel personaggio Ziggy Stardust, una sorta di alieno giunto improvvisamente sulla terra, dal nome di pura fantasia e dalle movenze felpate e sgraziate, truccato come una drag queen e dalla capigliatura tinta rosso fuoco, in grado di riunire in sé il travestitismo e l’ ambiguità sessuale del Rock dei tempi, rappresentando una sintesi fra arte e commercio.
E’ un alieno la cui comparsa ha, logicamente, un inizio e una fine (The rise and fall), un’ascesa e poi una decaduta, e Bowie lo incarna parodiando il perbenismo ed i miti effimeri prodotti dalla società Occidentale (come non vederci un’anticipazione di tante cose poi introdotte dalle TV commerciali o di programmi e reality show?).
Il primo lato dell’ Album inizia con la comparsa di Ziggy, subito protagonista di una profezia apocalittica. Sono rimasti appena cinque anni (Five Years) da vivere per gli esseri umani e non resta dunque, che una semplice esistenza “a termine”. Una batteria detta il ritmo, la song parte in modo lenta per poi impennarsi in un vortice di pathos culminante nell’ urlo isterico di Bowie.
“Soul Love” è una suadente melodia pop, nello stile Beatles molto in voga all’ epoca, e ci traghetta verso il Glam-rock di “Moonage daydream”, che suggella l’ approdo dell’ alieno sulla Terra; l’ attacco e il pulsare della chitarra elettrica saranno fra i momenti migliori del tour successivo al disco.
“Starman” è una canzone che rimarrà impressa a fuoco nella storia del Pop, con un bell’intro di chitarra acustica e la voce di Bowie a scandire il celebre ritornello.
“It ain’t easy” costituisce un intermezzo a carattere space-country, più vivace nel refrain, cantato a più voci.
“Lady stardust” è un’altra gemma melodica, con belle figure pianistiche e un Bowie che canta in modo intenso.
“Star” è un pezzo molto più veloce, con le chitarre graffianti degli Spiders from Mars e una dura sezione ritmica; la voce effeminata di Bowie è comunque in primo piano.
Lo stesso pulsare ritmico si trova in “Hang on to yourself”, anticipatore del punk-rock che, trascorso qualche anno, avrebbe spopolato nel Regno Unito.
A seguire c è la title-track, un rock più orecchiabile che introdotto da un bel giro di chitarra, resterà fra i brani di maggiore successo.
“Suffragette city” è puro stile glam, pompata dalle chitarre e dalla sezione ritmica a velocità elevatissime, con coretti qua e là ad esaltare l’ ambiguità del testo.
La conclusione del disco e della saga di Ziggy è affidata ad un’emozionante “Rock and roll suicide”: la fine dell’alieno è compiuta nel modo più teatrale possibile, con la sigaretta in bocca (Times takes a cigarette, puts it in your mouth), una riflessione sul senso del tempo (You ‘re too old to lose it, too young to choose it) ed una parte finale in crescendo, in cui entra l’orchestra e il cantato di Bowie diventa quasi nevrotico, come a sancire un ultimo attimo di vicinanza col pubblico.
di Piero Corigliano, all rights reserved