Quale sarà l’esito dell’attuale crisi di Governo? Quali scenari ci attendono? E soprattutto quali saranno le conseguenze?
Ne parliamo con Roberto D’Alimonte, professore ordinario di Sistema Politico Italiano alla Luiss Guido Carli di Roma, politologo e massimo esperto di sistemi elettorali.

Professore, dalle dimissioni dei ministri Bonetti e Bellanova, dalla fiducia incassata sul filo del rasoio in Parlamento, fino alle dimissioni del Presidente del Consiglio Conte. Quali sono le concrete ragioni della crisi? Renzi ha davvero fatto scacco matto?
Sono molto semplici. Italia Viva desiderava contare di più all’interno del governo e del sotto-governo perché quando il Conte-bis è iniziato, Renzi non aveva ancora un suo partito e quindi non aveva negoziato le nomine come come leader di Italia Viva ma come membro del Pd.
Una volta avvenuta la scissione, Renzi si è sentito emarginato all’interno del governo, errore, a mio avviso, di Conte, che pensava di poter trattare quasi esclusivamente con Pd e M5S. Questo è il background della crisi.
Renzi, infatti, aveva forti motivi di risentimento poiché all’interno del Pd è stato colui che ha fermamente sostenuto l’alleanza di governo tra Pd e M5S, molto più del segretario del Pd, Nicola Zingaretti.
Il leader di Italia Viva inizia quindi a sentirsi tradito da un Presidente del Consiglio che gli doveva molto ma che continuava a tenerlo ai margini. Passano i mesi, arriva la pandemia e il momento di redigere il Recovery Plan. Conte, tenendo nuovamente ai margini Italia Viva, ne ha centralizzato tutta la formulazione.
Eccoci arrivati, quindi, al vero casus belli, il momento in cui Renzi ha deciso di sfidare il Presidente del Consiglio, il quale non solo non ha cercato di negoziare un patto di coalizione con il suo alleato, ma anche accettato la sfida, preferendo alla negoziazione, la conta in Parlamento degli ormai famosi Responsabili o Costruttori. Alla Camera ci è riuscito, al Senato no. Risultato: Conte ha dovuto accettare il fatto che senza Renzi non ci sarebbe potuto essere Governo, decidendo di dimettersi.
Mattarella ha optato per il mandato esplorativo affidato al Presidente della Camera Fico. Quali scenari ci attendono?
Gli scenari che si prospettano sono tre.
La formazione di un Governo Conte-ter con Renzi ed Italia Viva parte della maggioranza ed in posizioni di vertice gradite al partito, sia per gli incarichi di governo che di sottogoverno, e soprattutto con un programma affine a quello di Italia Viva. In questo modo, però, non si compirebbero tutti gli obiettivi di Renzi, il cui principale scopo era quello di sostituire Conte, il quale, nello scenario prospettato, resterebbe primus inter pares all’ interno del Governo, seppur in una posizione molto ridimensionata.
Nel caso in cui Renzi alzasse troppo la posta, la crisi potrebbe diventare molto più complicata, con esiti imprevedibili. Vi potrebbe essere un governo istituzionale, ma in questo caso il ruolo di Italia Viva sarebbe minore e più diluito. Renzi potrebbe però realizzare l’obiettivo di sostituire Conte e un Governo, a suo avviso, in gran parte inadeguato.
L’esito che non si può escludere ancora del tutto, anche se a mio avviso rimane poco probabile, sono le elezioni anticipate: in questo caso Renzi sarebbe un netto perdente.
E se l’alternativa meno probabile diventasse la più probabile, cosa succederebbe?
L’esito delle elezioni dipenderebbe dai due fattori: legge elettorale e offerta politica, due elementi interconnessi ed imprescindibili. Se si andasse al voto con l’attuale legge elettorale, il centrodestra, nonostante i sondaggi al ribasso, resterebbe avvantaggiato grazie, ovviamente, ad una coalizione meno divisa e frammentata di quella del centrosinistra.
Inoltre, con il sistema elettorale vigente, fondato per 1/3 sui collegi uninominali, la suddetta omogeneità del centrodestra si troverebbe anche all’interno degli stessi collegi uninominali. Con la legge elettorale di tipo proporzionale, il c.d. Brescellum, al momento in discussione in commissione Affari Costituzionali, invece, molto dipenderebbe dall’improbabile soglia di sbarramento che adesso pare del 5%: in quel caso nessuno vincerebbe e cascheremmo nel baratro istituzionale.
È difficile, quindi, fare previsioni. Chiaro è che Zingaretti e Di Maio si illudono se pensano che i numeri attuali, risultanti dalla somma delle intenzioni di voto dei vari partiti del centrosinistra, li metteranno in condizione di competere con il centrodestra. Facciamo un esempio: nei collegi uninominali, se lo immagina l’elettore di Calenda che vota il candidato del M5s? Nei collegi uninominali, infatti, sono necessarie liste con candidati comuni per poter essere competitivi. I numeri, quindi, vanno letti in maniera intelligente e prospettica.
E con le elezioni rischieremmo anche di perdere il celeberrimo Recovery Fund…
Già adesso, con la situazione attuale, la credibilità del nostro Paese è ad un livello infimo: dobbiamo redigere un piano importante grazie al quale l’Unione Europea ci permetterà di gestire tantissimi soldi, anche a fondo perduto. Come risponde l’Italia? Con crisi di Governo e rischio di elezioni. È una questione di credibilità, di serietà e di affidabilità.
Il Governo pensa a una riforma elettorale che viri di nuovo verso un sistema proporzionale puro. Il contesto politico è costellato da una miriade di partitini alla ricerca di consensi, quale il senso di questa scelta?
Stiamo vivendo una situazione surreale, o meglio, folle. Proprio nel momento in cui viene toccato con mano il disastro di un sistema in cui un piccolo partito, che vale il 2% o poco più, riesce a tenere in scacco il Governo e la governabilità del Paese, proprio in questo momento in cui subiamo il potere di ricatto dei piccoli partiti, il presidente del Consiglio promuove una legge elettorale di stampo proporzionale, che non farebbero altro che perpetuare il potere di ricatto dei piccoli partititi e, di conseguenza, l’instabilità e l’irresponsabilità dei governi. È necessaria, invece, una legge elettorale che favorisca la stabilità degli esecutivi: una legge elettorale di stampo maggioritario.
E lei? Quale sistema elettorale proporrebbe?
Io ritengo che il sistema migliore sia un proporzionale con premio di maggioranza a due turni. Penso che sia arrivato il momento di tornare a discutere dell’Italicum, quel sistema bocciato, ma solo in parte, dalla Corte costituzionale. La Corte ha lasciato aperta la porta alla costituzionalizzazione di quella legge elettorale, simile a quella con cui vengono eletti sindaci e presidenti di Regione, legge con cui sono stati stabilizzati i governi locali e con cui è possibile stabilizzare il Governo nazionale. È a questo che è necessario puntare, più che ai collegi uninominali, difficili nell’attuazione in Italia, a causa della nostra storia politica e della frammentazione del sistema. Il Paese, infatti, ha primariamente bisogno di stabilità.
Basta davvero un nuovo e riformato sistema elettorale per dare stabilità al Governo? O si dovrebbe intervenire sulla nostra forma di Governo e quindi sulla nostra Costituzione?
L’ Italicum è un sistema particolare: è una legge elettorale che consente a tutti i partiti di esistere formando delle coalizioni all’interno delle quali, grazie al ballottaggio, gli elettori siano messi in condizione di eleggere “direttamente” il Presidente del Consiglio. Ciò consentirebbe di non modificare la forma di Governo prevista dalla nostra Costituzione, aspetto che meriterebbe un’ampia parentesi. L’Italicum costituzionalizzato potrebbe essere un sistema elettorale davvero potente e finalmente efficace.