Come recita il vecchio adagio, la vittoria ha mille padri ma la sconfitta è orfana. Ed esattamente come accade in guerra, quando nessuno intende assumersi la responsabilità della sconfitta di fronte all’opinione pubblica, allo stesso modo stiamo assistendo in questi giorni ad un (forse) inevitabile quanto penoso rimpallo di responsabilità circa uno dei disastri umanitari peggiori degli ultimi tempi.
Il terribile naufragio della notte fra il 24 ed il 25 febbraio, di fronte alla costa calabrese ha lasciato dietro di sé 68 vittime, fra cui 14 minorenni. Purtroppo, è necessario precisare che, almeno per ora, è questo il numero di decessi accertato, in quanto non è ancora chiaro il numero esatto di anime che si trovavano a bordo della sciagurata imbarcazione al momento del disastro. Le circostanze, poi, rendono questo bilancio ancora più amaro: tutte queste vite non sono state spezzate in mare aperto, a chilometri di distanza dalla costa più vicina, ma ad appena 150 metri dalla spiaggia di Cutro, piccola cittadina nei pressi di Crotone.
Ieri il presidente Mattarella si è recato in visita all’ospedale San Giovanni di Dio, ospedale del capoluogo calabrese, dove i superstiti del disastro sono attualmente ricoverati. Ma sicuramente il momento più toccante dell’intera giornata si è avuto quando il Capo dello Stato ha visitato il palazzetto in cui sono momentaneamente deposte le salme dei 66 passeggeri più sfortunati.

Il presidente della Repubblica ha voluto con questo gesto significare la vicinanza sua e delle altri istituzioni dello Stato alle famiglie ed agli amici di coloro che non ce l’hanno fatta. Istituzioni che, tuttavia, in questi giorni stanno dando una pessima prova di sé. Ormai nessuno osa negare che si sia trattato di una emergenza mal gestita e peggio condotta dagli attori che avrebbero dovuto occuparsene. Una polemica dai chiari contorni politici, che infatti ha scatenato le opposizioni contro il governo Meloni, ed in particolare contro il ministro dell’Interno Piantedosi, le cui discutibili dichiarazioni hanno spinto la neo-segretaria del PD Elly Schlein a chiedere ufficialmente le dimissioni del ministro.
Ancora poco chiare le responsabilità della Guardia di Finanza – le cui imbarcazioni per prime hanno tentato di raggiungere l’imbarcazione clandestina – come quelle della Guardia Costiera, la cui inattività (o quasi) ha suscitato in molti il dubbio che in realtà si sia trattato di un disastro che non si è voluto, piuttosto che potuto, evitare. Ancora prima, dovrà essere chiarita la natura della comunicazione con la quale Frontex (l’agenzia europea incaricata del controllo delle coste e dei confini dell’area Schengen) rendeva noto alle autorità italiane per la prima volta la presenza dell’imbarcazione nelle acque nazionali, e sulla cui presunta ambiguità si sta in queste ore speculando molto.
Tutte domande su cui sarà la procura di Crotone a dover fare luce nel corso delle prossime settimane, la quale sta già procedendo nei confronti dei due uomini, di nazionalità turca e pakistana, ritenuti essere gli scafisti ed attualmente accusati di omicidio colposo e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Con loro anche un diciassettenne turco, ritenuto essere il terzo scafista dell’imbarcazione.
La nazionalità di questi tre uomini rispecchia in parte la provenienza delle povere anime che sul quel barcone speravano di poter raggiungere la tanto agognata Europa. Sebbene non tutti i sopravvissuti siano stati ancora identificati, si tratta nella stragrande maggioranza di afghani e pakistani. Fra le vittime vi è anche Shahida Raza, ventisettenne capitana della nazionale pachistana di hochey, che era stata costretta ad abbandonare il paese a causa della persecuzione condotta dal governo centrale pachistano ai danni della etnia hazara, minoranza sciita in un paese radicalmente sunnita.

Tutti i passeggeri provenivano quindi dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale, il che spiega il punto di partenza dell’imbarcazione, ovvero qualche punto della costa nei dintorni alla cittadina turca di Smirne, importante ed antico porto sull’Egeo. La grande maggioranza dei migranti che, al termini di un lunghissimo viaggio e di immani fatiche, si trovano a raggiungere le coste egee della Turchia e desiderino entrare in Europa non hanno di fronte a sé molte alternative: le isole greche dell’egeo sono proprio lì, a pochi chilometri di fronte a loro. Una volta effettuata la traversata del breve tratto di mare, tuttavia, sono destinati a trascorrere mesi e mesi nei malsani e sovraffollati centri di raccolta ellenici.
Non era questa, tuttavia, la strada scelta dai protagonisti di questa triste vicenda. All’esorbitante costo di 8000 dollari ciascuno (tale è la cifra rivelata da alcuni dei sopravvissuti) essi avevano ottenuto di poter attraversare Egeo e Ionio a bordo di una imbarcazione da diporto, cosa che avrebbe permesso loro di bypassare la penisola ellenica ed entrare direttamente nel cuore dell’Europa. Dall’Italia sarebbe stato relativamente facile raggiungere i paesi del Nord del continente.
Una prospettiva, questa, ben più sicura della ben più lunga traversata a piedi dei Balcani occidentali, cui sono costretti quei migranti che in qualche modo riescono a raggiungere la Grecia e la Bulgaria passando dalla Turchia europea. Ma la parimenti lunga traversata marittima era evidentemente fuori della portata della “Loving Summer”, il quasi fatiscente peschereccio di legno che, stipato con 10 volte il numero di passeggeri normalmente in grado di trasportare, ha affrontato il meteo avverso così tipico nel Mediterraneo durante i mesi invernali.
Sicuramente, a contribuire al disastro ha anche concorso l’assoluta mancanza di imbarcazioni di soccorso in quel tratto di mare, dato che le navi delle ONG così come i pattugliatori delle forze italiane sono impegnate nel tratto di mare a sud della Sicilia, verso Libia e Tunisia, da dove regolarmente arrivano i barconi provenienti dal Nord Africa.
Inoltre, date le condizioni meteo estremamente avverse, nessuna imbarcazione civile era in navigazione quella notte, soprattutto a causa delle terribili condizioni del mare Ionio, che erano peggiorate nelle 24 ore precedenti. Alcuni dei sopravvissuti hanno riferito di aver sentito un suono simile ad una esplosione poco prima del disastro, ma per il momento gli inquirenti non hanno rinvenuto tracce di questo tipo sui relitti. Probabilmente, il rumore che i passeggeri hanno sentito era lo scafo in legno dell’imbarcazione che si spezzava a causa delle onde alte e della fortissima corrente, scaraventando molti dei passeggeri verso la morte.