Crescita verde, senza remore

di Redazione The Freak

Crescita verde, senza remore

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Crescita verde, senza remore

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Un’occhiata alla green economy in Cina e in Italia, dalle industrie del riciclo agli orti sul balcone.

In una recente visita[1] presso un’azienda di riciclo, il Presidente Xi Jinping ha sottolineato che le industrie “amiche dell’ambiente” meritano un’attenzione prioritaria nel cammino di sviluppo della Cina. Due concetti di questo discorso saltano agli occhi: quello del riciclo è un settore solo agli albori, con enormi possibilità, e la spazzatura è una risorsa, finora male utilizzata.

Tali affermazioni vengono da quella che oramai si configura come la prima economia mondiale in termini assoluti, impegnata ad affrontare enormi problematiche ambientali e altrettanti imperativi di crescita per espandere la sua classe media e portare il reddito medio della popolazione ai livelli dei Paesi occidentali. In Cina, come noto, l’economia è avviata da trent’anni su un percorso di lenta ma costante liberalizzazione; tuttavia, le principali aziende e le questioni monetarie rimangono strettamente sotto il controllo del governo, il quale continua a basarsi su piani quinquennali – non a torto, visto che i dati finora confermano, nonostante ombre e contraddizioni, il successo di questo modello di “capitalismo autoritario”[2].

Ebbene, gli esperti cinesi sono sicuri del fatto che quattro ambiti – efficienza energeticacontrasto all’inquinamentoprotezione ambientale e riciclo – presentino enormi opportunità di espansione. La loro soluzione alla sfida della sostenibilità segue il passo del sistema cinese che cerca, stimola e spesso impone sinergie tra ministeri, governi locali, aziende e banche, per far sì che le linee programmatiche diventino tattiche applicabili nella realtà di breve-medio periodo. Intanto, non passa giorno che non ci sia qualche richiamo a questi argomenti; l’Impero di Mezzo ripete che si farà alfiere di una nuova “civiltà ecologica”[3].

Riportando un attimo lo sguardo verso casa nostra, ci accorgiamo che quanto di meglio abbiamo, in termini di regole e indirizzi di politica ambientale[4], viene dalla cornice di riferimento europea. La situazione è tale per cui alcune regioni sono più avanti di altre e perdura l’assenza di una strategia nazionale chiara e lungimirante per un sviluppo sostenibile. Non stiamo qui a ragionare sul potenziale ossimoro insito in tale concetto e sulle disquisizioni di filosofia politica che i sostenitori della “decrescita felice”[5] ne fanno; andrebbe superato il pregiudizio, e preso il toro per le corna: le parole “sviluppo” e “sostenibilità” vanno benissimo assieme[6]. Le persone hanno bisogno di incentivi economici per muoversi. gli investimenti dall’estero per un po’ continueranno a non arrivare, l’emigrazione non dovrebbe essere l’unica soluzione[7] e solo generando da soli ricchezza possiamo ricreare il benessere che in Italia tende sempre più a mancare. Basti ricordare che il nostro paese ha smesso di crescere (parliamo di PIL, ma la stagnazione ha riguardato vari altri aspetti) tanti, tanti anni fa; ora assistiamo al fatto che, in questo secondo decennio del nuovo secolo, l’Italia sta solo infelicemente decrescendo.

Soluzioni? Bisogna guardare in diverse direzioni. La green economy racchiude uno spettro di dimensioni immenso, dai mega-progetti di adattamento industriale fino agli orti sul balcone. Uno degli interventi più interessanti sentiti di recente sul tema è stato quello di Giovanni Tordi, l’ad di Officinae Verdi[8], ad una conferenza sui cambiamenti climatici alla LUISS, dove ha parlato di una potenzialità di mercato immensa per il risparmio energetico nel nostro paese, sciorinando cifre impressionanti[9]: tra imprese, famiglie e trasporti si arriverebbe a un saldo di 50 miliardi di euro (più di un’intera finanziaria).

Il mondo si muove, e anche in Italia tante cose stanno succedendo. Si può guardare agli esempi di Reware[10], piccola cooperativa di Roma dedita al riassemblamento e al riutilizzo dei materiali informatici (tra i più inquinanti e difficili da riciclare), oppure al movimento degli orti urbani[11], che non si configurano solo come mero passatempo o attività di recupero sociale, bensì costituiscono il perno della sicurezza e autosufficienza alimentare delle città e delle metropoli di tutto il mondo, che  in futuro racchiuderanno la stragrande maggioranza delle persone e saranno sempre più esposte alle conseguenze di eventi climatici estremi e di fluttuazioni dei prezzi agricoli.

La sostenibilità è il nuovo paradigma[12], poiché è assieme l’unica speranza e l’unica soluzione per un benessere coerente e diffuso. In Italia più che altrove le sfide presentate da un necessario nuovo modello di sviluppo e dall’adattamento ai cambiamenti climatici richiedono probabilmente un ricambio della classe dirigente, perché è chiaro che solo dei leader con la testa ben piantata in questo nuovo secolo possano essere all’altezza, senza remore.

Di Andrea Lisi

http://assecologiche.wordpress.com/

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