Covid, in carcere va
peggio di prima

Covid, in carcere va peggio di prima

La pandemia ha fatto da detonatore a problemi già esistenti
Dietro le sbarre i contagi aumentano e le condizioni di vita peggiorano

di Stefano Pazienza

Covid, in carcere va
peggio di prima

Covid, in carcere va peggio di prima

Covid, in carcere va peggio di prima

di Stefano Pazienza
carcere

Covid, in carcere va
peggio di prima

Covid, in carcere va peggio di prima

La pandemia ha fatto da detonatore a problemi già esistenti
Dietro le sbarre i contagi aumentano e le condizioni di vita peggiorano

di Stefano Pazienza

Si sente spesso dire che la pandemia non ha generato nuovi problemi sociali, ma ha fatto da detonatore a problematiche già esistenti: il carcere è uno di questi aspetti. 

Per decenni regalato ai margini del dibattito politico (tema coltivato solo dalla galassia radicale e da qualche associazione, quale  l’Unione delle Camere Penali o Antigone, o da qualche intellettuale, come Luigi Manconi), il tema delle condizioni carcerarie nonché quella della funzione stessa del carcere emerge con forza in questo periodo, in cui il virus si diffonde particolarmente nei luoghi in cui si vive una condizione di sovraffollamento.

Si discute, pertanto, se effettuare o meno le vaccinazioni ai detenuti in via prioritaria, come per i residenti nelle RSA , e nel mentre i focolai, che colpiscono indifferentemente detenuti e polizia penitenziaria, continuano a esplodere in tutta la penisola, basti pensare che a Roma ci sono casi in quasi tutte le strutture carcerarie, da Rebibbia (sia il carcere femminile sia il nuovo complesso maschile) a Regina Coeli. 

A prescindere dal coronavirus, però, da una società civile non può essere ignorato un mondo che produce più di 100 suicidi ogni anno tra detenuti e polizia penitenziaria e che produce innumerevoli situazioni di abusi e violenze; tutto ciò a fronte di una crescita costante della popolazione carceraria, quasi triplicata in venti anni, passando dai 24.000 detenuti nel 1990 ai più di 60.000 ad oggi presenti.

Ci si deve soprattutto domandare se l’istituzione carceraria in sé considerata è qualcosa di efficace nei confronti del reo e utile per la società.

Sapete ad esempio, che quasi il 70% dei detenuti ritorna a delinquere una volta uscito? Sembrerebbe quindi che la nota “funzione rieducativa”, che la Costituzione assegna alla pena, sia decisamente fallita!

Se il carcere non è efficace nei confronti del singolo, perché non attiva meccanismi idonei a permettere il reinserimento sociale del condannato, significa che l’istituzione è inutile per la società tutta.

A fronte di costi umani e materiali enormi, non vi è un ritorno in termini di rieducazione dei puniti e, molto spesso, il carcere si presenta come uno stop forzato e momentaneo in una vita dedica al crimine o, peggio, il primo “scivolone”, che indirizza definitivamente la persona verso ulteriori delitti. 

In questo senso, mai così azzeccata fu la frase del narcotrafficante George Jung, da cui il film Blow trae ispirazione, e che disse a proposito del carcere: “Era una scuola del crimine, entrai con un diploma in Marijuana, ne uscii con un Dottorato in Cocaina”.

Quali alternative vi sono al carcere così come oggi lo conosciamo? 

Altri Paesi, come quelli scandinavi, utilizzano sempre più delle forme di “detenzione blanda” che, unite a percorsi didattici e professionali nonché ad un’attenzione al benessere psichico del detenuto, stanno dando ottimi risultati in termini di abbattimento della recidiva.

Si dovrebbe, inoltre, pensare ad una riforma dei sistemi di cosiddetta “esecuzione penale esterna”, dalla detenzione domiciliare ai lavori di pubblica utilità, agli affidamenti in prova, passando però da un rafforzamento di tutti gli uffici preposti alla ideazione dei percorsi di reinserimento sociale e al controllo sul rispetto del programma da parte del condannato.

Se la scommessa è quella di rieducare il condannato reinserendolo nella società, occorre ripensare alle forme di esecuzione della pena e reinventare anche il concetto stesso di “carcere”, a partire dalle strutture in cui la pena viene eseguita.

Può sembrare strano che un qualcosa di così apparentemente immutabile, come il carcere, possa essere una istituzione soggetta a cambiamento, ma basta guardarci indietro per vedere come le forme di esecuzione della pena si sono sempre evolute nei tempi, spesso in meglio…basti pensare che qualche secolo fa era normale punire qualcuno che non aveva pagato un debito mandandolo a remare per qualche anno in una grossa nave mercantile, non per nulla chiamata Galera!

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