COSÌ VICINI, COSÌ LONTANI

di Francesca Michetti

COSÌ VICINI, COSÌ LONTANI

di Francesca Michetti

COSÌ VICINI, COSÌ LONTANI

di Francesca Michetti

Stamattina il cielo è di uno strano colore. La luce azzurra del giorno si insinua tra le nuvole scure. Un gioco cromatico stupefacente, l’ eterno contrasto tra luce ed ombra.
E’ la terza mattina consecutiva che vengo in questa caffetteria a fare colazione. Trattengo il fiato per qualche secondo prima di entrare, il proprietario mi vede, mi apre la porta con un ampio sorriso e mi accompagna al tavolo. Scambiamo qualche parola, prende la mia ordinazione: tè caldo e muffin ai mirtilli. Mi tratta con confidenza, come se mi conoscesse da tempo. Per lui sono la “forestiera”, “la signorina che viene da lontano”. Non da così lontano, in realtà, ma lui ancora non lo sa. Ed io sono qui per questo.

Mentre aspetto mi accendo una sigaretta, aspiro una lunga boccata di fumo e ricordi. Nessuno si accorge dell’eruzione che mi invade e che trattengo: la forza di attrazione dei ricordi fa esplodere la rabbia dell’ abbandono, la nostalgia e la paura che mi risucchia dentro. Tutto quello che sento è enorme eppure mi fa sentire piccola, una bambina che non sono più. Sono ferma sulla “soglia”, in ostaggio di me stessa, dei fantasmi del mio passato, con la vita che mi scorre accanto e non si ferma.
Cosa potrei dirgli? La forestiera è tua figlia, ha un nome e una storia che tu non conosci. La sua estraneità inizia da te, dal tuo silenzio, dalla tua assenza. Sono figlia delle tue false promesse, del tuo falso amore. Il sangue del tuo sangue. Sono cresciuta nel rumore della tua assenza, misurando ogni giorno la dimensione del vuoto che tu mi hai lasciato, la profondità delle crepe che tu mi hai aperto. E ancora adesso raccolgo i brandelli di un padre e una figlia che si perdono per strada. Tante volte ho sognato di perderti. E poi di trovarti. Come qui, adesso.

Spengo la sigaretta. Ecco cosa siamo: cenere, minuscoli frammenti che si sgretolano, scivolano via e si perdono nel vento. Due vite mancate, due pianeti troppo lontani, una luce che insegue un’ombra, la tua. Vorrei riuscire ad accettare la potenza dei miei sentimenti, del mio amore e della mia rabbia, vorrei arrendermi e perdonarti. Non sono più una bambina, giusto?
Invece fuggo via da quella vita che non posso ancora salvare, che tu hai creato e poi distrutto, via dal gene del mio dolore.
Oggi, la forza centrifuga dell’ estraniazione ha vinto.

Pago il conto, esco dal bar e passeggio sulla spiaggia. Anche il mare è in tumulto stamattina, come me. Le onde si ammassano l’una sull’altra, confondendosi in un tutt’uno indistinto. Per ora non desidero altro che fluttuare anch’io in quel mare di infinite possibilità.

Domani tornerò. Forse riuscirò a spingermi più a largo, alla ricerca di un’altra speranza per noi.
Forse domani saremo quello che siamo: padre e figlia.

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