CONVERSATION PIECE/ PART 2: LE FORME DELLA PERCEZIONE

di Maddalena Crovella

CONVERSATION PIECE/ PART 2: LE FORME DELLA PERCEZIONE

di Maddalena Crovella

CONVERSATION PIECE/ PART 2: LE FORME DELLA PERCEZIONE

di Maddalena Crovella

Crocevia di sguardi creativi e menti da nutrire, l’Italia è stata per secoli tappa fondamentale di viaggiatori alla ricerca di nuove fonti di conoscenza e d’ispirazione. Eppure, nelle sue città, nei congestionati e congestionanti scenari cittadini – di cui Roma è sempre più triste esempio – le nuove generazioni di artisti rischiano di restare chiuse nelle fondazioni, le accademie e gli istituiti presso i quali risiedono. Così, si fa difficile trovare anche solo uno spazio da dedicare loro, al prodotto della loro ricerca creativa. Da questa esigenza nasce il programma espositivo della Fondazione Memmo – Arte Contemporanea, che quest’anno, dal 6 febbraio al 3 aprile, presenta la seconda rassegna di opere d’arte dedicata ad alcuni artisti stranieri che hanno scelto Roma come soggiorno per i loro studi: Jackson, Kilian Rüthemann, Maaike Schoorel e David Schutter.
Conversation Piece / Part 2 è il titolo della mostra a cura di Marcello Smarrelli, ospitata negli spazi espositivi delle scuderie di Palazzo Ruspoli, che vuole rappresentare un momento di confronto tra personalità artistiche differenti per tecnica, ricerca e poetica. Il nome della rassegna prende spunto dal film di Luchino Visconti, Gruppo di Famiglia in un interno, ma rimanda soprattutto a un particolare genere di pittura olandese incentrato sugli atteggiamenti assunti da gruppi di persone in conversazione tra loro. Tutta l’esposizione, infatti, è basata sul principio d’interazione tra punti di vista differenti e sul dialogo tra passato e presente, con particolare riferimento alla percezione dello spazio.

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La mostra si apre con l’opera di David Schutter, artista statunitense che risiede presso l’American Academy di Roma. All’interno di uno spazio bianco e asettico, l’occhio del visitatore è catturato da quattro dipinti in tinta scura, ispirati ai paesaggi di Salvator Rosa e di Gaspard Dughet che attualmente sono conservati presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini. 058_(6455)_LowRes

Le campiture di colore, dense e omogenee, sono il risultato di un processo percettivo – visivo che parte dalla tradizione pittorica del passato e la reinterpreta, in modo straniante, senza la base di alcun supporto mnemonico. La disposizione dei dipinti, inoltre, riproduce in modo fedele la posizione delle opere di Dughet e Rosa a Palazzo Corsini. In questo modo, l’artista statunitense ci pone dinanzi alla questione di una rilettura problematica del passato intesa come rielaborazione di nuove rappresentazioni nel presente.

Avanzando nel percorso espositivo, si accede alle profondità mistiche dell’opera di Jackson residente all’Académie de France à Rome, e conosciuto nel panorama artistico internazionale per le sue produzioni di musica elettronica. In questo caso è il suono a condurre il visitatore in una dimensione spaziale più oscura, che rimanda concettualmente a quel mito della caverna di Platone in cui sono racchiuse le ombre proiettate dal mondo conoscibile. In un connubio estremamente suggestivo tra percezione uditiva, metallo, vetro e nebbia, prende forma il Brume Sonore #1, un dispositivo scultoreo che trasforma le onde luminose in frequenze sonore: un prisma triangolare rifrange la luce in uno spettro di colori che nell’incontro con le particelle di vapore acqueo produce, attraverso l’uso di un algoritmo, il suono ascetico.

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L’opera di Kilian Rüthemann, invece, ci riporta letteralmente tra le mura della città. Lo spazio espositivo, infatti, è occupato da quattro grandi muri, posti uno di fronte all’altro che si appoggiano delicatamente alle pareti di palazzo Ruspoli, come se fossero dei fogli di carta leggermente ripiegati su se stessi. In un gioco meta-artistico le pareti in muratura che solitamente delimitano lo spazio, diventano oggetto stesso della mostra. L’artista svizzero propone, in questo modo, una reinterpretazione della storia dell’architettura che prende le mosse dall’opus latericium utilizzato in epoca romana e conduce a una riflessione sui processi industriali e le tecniche reimpiegate in età contemporanea. Il mattone, elemento archetipico di un passato monumentale, si fa testimone del successo di una tradizione architettonica ancora attuale negli spazi cittadini ma suggerisce un monito sul destino dell’Urbe: gli archi di trionfo e le colonne coclidi, svuotate della propria funzione architettonica, sono condannate a divenire rovina.

L’ultimo spazio della mostra è dedicato al lavoro dell’artista olandese Maaike Schoorel, anch’ella residente presso l’American Academy di Roma. Le tele esposte, realizzate a partire da una fotografia, ad un primo sguardo appaiono come monocromi offuscati alla mente, ma racchiudono un significato più profondo: ogni dipinto cela un mondo sommerso, le figure perdono i contorni e sono totalmente assorbite dalla superficie liquida della tela. Tra le tenui pennellate di colore s’intravedono profili di paesaggi, frammenti di volti e situazioni che paiono essere filtrati attraverso un vetro appannato. L’occhio si distende ed è quasi ipnotizzato da una pittura sfuggente che attiva le capacità sensoriali dello spettatore e lo esorta a rintracciare le forme conoscibili nell’indefinito.

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Quattro artisti originali, quattro tecniche differenti, quattro punti di vista sullo spazio e la percezione del reale che tuttavia suggeriscono, in modo unanime, di esplorare a fondo la dimensione esteriore e interiore, anche nei frammenti di una conversazione quotidiana, e di attivare tutti i sensi di cui siamo dotati per non accontentarci della superficie visibile delle cose.

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