Confiscati bene: intervista alla Fondazione Pol.i.s.

di Sabrina Cicala

Confiscati bene: intervista alla Fondazione Pol.i.s.

di Sabrina Cicala

Confiscati bene: intervista alla Fondazione Pol.i.s.

di Sabrina Cicala

La fondazione Pol.i.s è lo strumento con cui la ragione Campania si propone di consolidare il sistema di governance in materia di riutilizzo dei beni confiscati e di aiuto alle vittime innocenti della criminalità. Il vostro nome suggerisce già un percorso metodologico, le politiche integrate. È forse questo il metodo che è mancato nella politica, soprattutto giovanile?

La denominazione Pol.i.s. rispecchia una metodologia di intervento avviata sin dalla fine degli anni Novanta in Campania, successivamente cristallizzata nella creazione di una Fondazione dedicata, ente strumentale a questi fini, di cui la Regione può dotarsi per applicare tale metodologia. Per “politiche di sicurezza e legalità” si intendono le azioni volte al conseguimento di una ordinata e civile convivenza nelle città e nel territorio, esercitate attraverso le competenze proprie dei Comuni, delle Province e delle Regioni, con l’aiuto e la partecipazione dei cittadini, del privato sociale e della società civile organizzata. In Campania e nelle Regioni del Sud, ma in dimensioni variabili anche in altre parti d’Italia, queste politiche si devono misurare con le politiche di contrasto ai fenomeni criminali di stampo mafioso e con tutte le azioni da porre in essere per arginare tali fenomeni, in primis il sostegno alle vittime innocenti di criminalità e il riuso dei beni confiscati alle mafie. In quest’ottica, l’integrazione implica anche la cooperazione del locale con gli attori della sicurezza e della lotta alla mafia nazionali (Stato, Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia ecc.).

I beni confiscati rappresentano un patrimonio materiale ed una opportunità di riscatto. Qual è l’attuale stato di sfruttamento? Quanto risulta, ad oggi, realmente messo a disposizione dei giovani e in che modo?

La Fondazione Pol.i.s. nasce – come detto – allo scopo di valorizzare la filiera del riuso e sopperire alle criticità che possono impedire rallentare i processi di restituzione alla collettività e la messa a disposizione del patrimonio confiscato per i giovani e le giovani. Per Statuto, la Fondazione Pol.i.s. sviluppa azioni di sistema per rendere più efficace il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata. In particolare, promuove azioni di sostegno ed accompagnamento allo sviluppo di qualificate modalità di gestione dei beni confiscati, anche attraverso attività d’impresa realizzata da soggetti del privato sociale. Facendo un bilancio dei 10 anni di attività, e alla luce di tali scopi statutari, è possibile fare ordine nella complessa esperienza posta in essere dalla Fondazione Pol.i.s. individuando tre macro-assi di attività: conoscenza (dati, mappatura, progetti di ricerca, formazione e sensibilizzazione); supporto alla governance del sistema di amministrazione, direzionato verso i soggetti pubblici (regione Campania, Comuni singoli e associati, altri EE.LL.); sostegno e accompagnamento alla valorizzazione del patrimonio confiscato mediante efficace riutilizzo, rivolto ai soggetti del privato sociale (“enti gestori” ma gestori potenziali). Su questo abbiamo avuto risultati sufficientemente positivi, su alcuni dei quali torneremo nelle risposte alle domande successive. Di certo la conoscenza del territorio e l’attività di supporto ai gestori ha fatto emergere anche diverse criticità. Con riferimento agli immobili (appartamenti, ville, fabbricati e in parte terreni), ad esempio, il riutilizzo ai fini sociali dei beni confiscati alle mafie conserva tuttora alcuni problemi, peraltro riconosciuti sul piano nazionale: dalla lunghezza dei tempi di confisca definitiva (che cagionano, talvolta, il deperimento degli immobili) agli oneri elevati di ristrutturazione (di cui spesso i Comuni, enti destinatari degli immobili), dai rischi “ambientali” che incontrano gli enti gestori del privato sociale (minacce, immobili occupati dai preposti ecc.) alla sostenibilità economica dei progetti di riutilizzo. L’azione della Fondazione Pol.i.s. mira anche ad affrontare tali problemi.

Una risorsa, se accessibile a pochi, diventa un privilegio e -quando ha natura pubblica- un privilegio ingiusto, perché sottratto ai reali proprietari, ossia la collettività. La possibilità di usare i beni confiscati, la chance di ottenerne la gestione e di poterne accrescere le potenzialità è di comune conoscenza e, in secondo luogo, di effettiva e generalizzata contendibilità? C’è il rischio di dialogare solo con alcuni soggetti quali interlocutori preferenziali, come Libera, così impedendo al di fuori di questi circuiti formalizzati una possibilità di aggiudicarsi l’esito favorevole dei bandi?

Come noto, un referente di Libera Campania siede nel Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Pol.i.s. Ciononostante, l’azione di questa Fondazione – essendo ente strumentale di un’istituzione pubblica – mira al totale universalismo dell’accesso alle informazioni, alle opportunità e al supporto. Nello specifico, la Fondazione Pol.i.s. non gestisce direttamente i beni confiscati alla criminalità organizzata, né ha facoltà di attribuirli a enti pubblici o privati. La mission della Fondazione è supportare le realtà istituzionali e sociali intenzionate a favorire il riutilizzo del patrimonio confiscato alle mafie, diffondendo dati e informazioni sui beni e sulle procedure da seguire e promuovendo, laddove necessario, l’interazione tra le parti interessate (Comuni e privato sociale, ma anche Agenzia Nazionale Beni Confiscati, Regione ecc.). Pertanto, in conclusione, strumenti come la Fondazione possono contenere se non in alcuni ambiti eliminare i rischi di un accesso “di nicchia” al patrimonio confiscato, come paventato in questa vostra domanda.

Quanto è importante il censimento del riuso dei beni per consentire trasparenza, diffusione e implementazione delle buone pratiche?

Come anticipato, la conoscenza del fenomeno (e la diffusione della conoscenza) sono temi centrali dell’azione della Fondazione. A tale scopo, in questi 10 anni, sono state implementate diverse attività. Tra esse, l’estrazione ed elaborazione dei dati resi disponibili dall’Agenzia Nazionale, riorganizzati e analizzati sulla base delle esigenze conoscitive degli Enti Locali e/o dei soggetti gestori del privato sociale. Lo scopo è approfondire la conoscenza analitica dei patrimoni confiscati e per consentire di avere un quadro più completo delle esigenze del territorio in materia di ristrutturazione dei beni confiscati alla camorra, la Fondazione ha sviluppato una mappatura dei beni.

A questa attività si affianca il monitoraggio diretto dell’andamento della gestione dei beni confiscati. La Fondazione ha monitorato 122 esperienze, talune di successo, altre difficoltose. Dalle pratiche positive e dalle criticità emergono modelli (e “anti-modelli”) utilissimi per progettare nuove esperienze ed evitare di ripetere errori. Al momento la Fondazione sta procedendo con una rilevazione dei fabbisogni dei gestori, tramite questionario strutturato a circa 120 enti del privato sociale. I risultati saranno pubblicati entro fine anno. 70 delle 120 esperienze sono già georeferenziate sul sito internet della Fondazione, interessate da finanziamenti pubblici (in primis quelli della Regione Campania) o di grande interesse storico e simbolico (si veda il rapporto Da Idee a Progetti di Fondazione Pol.i.s., del 2013, disponibile sul sito). La georeferenziazione è in costante aggiornamento per avere contezza della geografia del riutilizzo in Campania e favorire la governance del sistema, ma anche l’animazione e la costruzione di una comunità di gestori. Già pubblicata sul sito è anche la ricerca su I beni confiscati come opportunità di sviluppo, promossa unitamente a Libera Campania, che ha analizzato il quadro del riutilizzo con dati significativi: 78 pratiche di riutilizzo censite su tutto il territorio che in media occupano 5 persone, su cui operano mediamente 15 volontari e con 16.541 beneficiari complessivi.

Abbiamo poi ultimato una ricerca sulle misure legislative italiane ed europee, per offrire un quadro di riferimento normativo il più completo possibile. La ricerca è stata recentemente aggiornata con i riferimenti normativi di altri Paesi dell’Unione.

Ai fini della conoscenza scientifica, la Fondazione ha poi operato siglando Protocolli con Università ed Enti di Ricerca, di cui l’ultimo con il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli – Federico II, in particolare con il LIRMAC (Laboratorio Interdisciplinare di Ricerca sulle Mafie e la Corruzione). Esso prevede progetti di ricerca su temi di comune interesse per la Fondazione e il Dipartimento federiciano. In questo quadro sono stati attivati tirocini formativi per laureandi e laureande e borse di ricerca sui temi delle vittime e dei beni confiscati. Sulla stessa linea vanno annoverati i Protocolli di Intesa Radio della legalità, quello tra Fondazione Polis e Manager Italia per il sostegno alle aziende confiscate alla criminalità organizzata e il Protocollo MIUR – Regione Campania per la valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

In materia di sensibilizzazione e in-formazione, la Fondazione ha svolto le seguenti attività di incontri e tavoli di lavoro e di approfondimento con i maggiori esperti che si occupano degli aspetti relativi alla confisca dei beni alle mafie, per meglio qualificare le competenze degli addetti alla Fondazione. Incontri e tavoli di lavoro e di approfondimento con soggetti che gestiscono i beni confiscati allo scopo di rafforzare e qualificare la rete di relazioni con la Fondazione. Percorsi di formazione rivolti a soggetti del mondo dell’associazionismo e del terzo settore che si occupano del riutilizzo sociale dei beni confiscati. Tra questi, la Scuola Estiva su “Luoghi di legalità. Modelli e pratiche di innovazione sostenibile”, promossa con Libera Campania, Università di Napoli Federico II e Università di Salerno, con il patrocinio della Regione Campania. La Scuola si è tenuta a Nisida presso il CEUS (Centro Europeo di Studi del Dipartimento di Giustizia Minorile) in settembre 2017 e settembre 2018.

I dati diffusi quest’anno da Eurostat sulla disoccupazione giovanile in Europa indicano la Campania tra le prime dieci regioni (su un totale di 275): il tasso di senzalavoro tra i ragazzi della fascia d’età 15-24 anni è del 54,7%. Ha un suo riflesso anche nella occupazione derivante dalla gestione e amministrazione dei beni confiscati? O qui può annoverare qualche merito positivo? (E, nel caso, perché?)

Le esperienze di riutilizzo producono occupazione, come si evince dal report della Fondazione Pol.i.s. I beni confiscati come opportunità di sviluppo citato sopra. Tuttavia, le dimensioni della filiera, specie se rapportate alla vastità del fenomeno occupazionale campano, non possono raggiungere una rappresentatività statistica dirimente.

Diversi sono i Master in tutta Italia sulle strategie di riutilizzo dei beni confiscati. Quanto rappresentano effettivamente un proficuo avviamento occupazionale e quali altri percorsi dovrebbero essere attivati già all’interno delle università?

L’esigenza formativa (e informativa) tramite alta formazione universitaria e la formazione post-laurea è auspicabilissima per valorizzare il riutilizzo dei beni confiscati. Sul punto, dall’esperienza della Fondazione, il fabbisogno formativo andrebbe rivolto anche ai Comuni e alle amministrazioni locali, specialmente nella loro doppia funzione di detentori degli immobili e di promotori di partecipazione e raccordo tra pubblico e privato sociale su scala locale. Il secondo fronte verte la qualificazione e il potenziamento degli “enti gestori” del privato sociale, che vanno potenziati sul fronte del management e della progettazione, del monitoraggio, rendicontazione e valutazione dei progetti, delle competenze di fundraising. Questo perché uno dei problemi nel riutilizzo dei beni confiscati concerne la sostenibilità degli interventi, talvolta collegata alle deboli competenze gestionali di chi riutilizza il bene.

Beni confiscati come opportunità per chi vuole entrare nel mondo del lavoro ma anche per chi vuole, attraverso il lavoro, riconquistare la sua dignità dopo un passato criminale. Il loro coinvolgimento nella gestione e nel riuso dei beni può proporsi come alternativa ai percorsi penitenziari? Funziona?

Il coinvolgimento di ex detenuti nelle attività di riutilizzo dei beni confiscati è una strategia importantissima di reinserimento sociale. Nel documentario della Fondazione Polis Di bene in meglio, di male in peggio abbiamo raccolto le testimonianze di giovani provenienti dall’area penale minorile coinvolti in un progetto di inclusione di giovani disabili anche attraverso il riutilizzo di un’imbarcazione confiscata. L’attività è guidata da Asgam Onlus.

C’è un rischio di assistenzialismo? Se l’impresa mafiosa resta sul mercato per l’artificioso sostegno di capitali illeciti e di metodi intimidatori impositivi, può presentarsi un rischio speculare per l’impresa “antimafiosa”, quando l’aiuto proviene da fondi statali?

Si tratta di un tema delicatissimo e piuttosto complesso, che non può essere declinato con la sola dicotomia stato/mercato. Un’impresa confiscata o un immobile riutilizzato ai fini sociali sconta criticità non solo patrimoniali o di capacità competitiva, ma anche “contestuali”, connessi alle variabili criminali e intimidatorie di cui sono spesso oggetto le esperienze di riutilizzo. Questo vuol dire che la soluzione “di mercato” è piuttosto complicata, e non può essere risolta con il solo intervento dei fondi statali. Come si riscontra anche in letteratura sul tema, la costruzione di un’imprenditoria alternativa a quella mafiosa in grado di assicurare il mantenimento dell’occupazione non può muovere variabili connesse solo allo Stato (finanziamenti, incentivi e repressione del crimine) e al mercato (recupero della concorrenza, trasparenza contabile e fiscale, diritti del lavoro ecc.). Generare un diffuso fenomeno di “imprenditoria alternativa” chiama in causa anche variabili di tipo culturale e sociale, intaccando i meccanismi che sono alla base della genesi e della riproduzione del consenso sociale mafioso. Per questo il riutilizzo dei beni confiscati va inteso come porzione di una politica pubblica complessiva e integrata che alla repressione antimafia affianca il recupero di una ordinata e civile convivenza nelle città e nel territorio.

Avete riscontrato una patologica forma di coinvolgimento dei giovani, attraverso proposte di volontariato che occultano, di fatto, con il buon predicato della “socialità”, lavoro sottopagato o non pagato?

No.

La vera forza delle associazioni mafiose sta fuori dalle associazioni, ossia nel radicamento nel territorio, nel loro ruolo di collettore sociale, di pacificatore di controversie, di fornitore di servizi e soprattutto di lavoro. Quanto e come il contrasto ai fenomeni mafiosi, proprio nei patrimoni loro sottratti, può realizzarsi con il recupero del terreno anzitutto sociale e locale? E quale ruolo attivo i giovani possono assumere, per evitare di chiamarli solo a far numero nelle piazze nei giorni di memoria?

La diffusione di una imprenditorialità sociale basata sul riutilizzo dei beni confiscati può integrare efficacemente le politiche repressive e l’azione giudiziaria, intaccando quel consenso esterno in cui risiede la forza delle mafie, superando la cultura di disinteresse per i beni comuni e per i valori della convivenza civile sui quali prospera la criminalità organizzata. Alcuni primi passaggi in tal senso sembrano emergere in Campania, specialmente nell’area del casertano, dove il tessuto associativo e dell’economia sociale che lo sostiene rappresentano ad oggi un volano di azione per una riconversione del territorio. Qui il ruolo dell’associazionismo antimafia coinvolto nel riutilizzo dei beni confiscati sembra fungere da officina di infrastrutture sociali, capace di ingenerare beni relazionali, fiducia diffusa e tendenza alla cooperazione. L’antimafia civile può ingenerare un sentimento di disapprovazione diffusa per le logiche di collusione che caratterizzano il sistema relazionale entro cui si muovono i camorristi, delegittimando gli attori che colludono, tra cui imprenditori, rappresentanti delle pubbliche amministrazioni e della politica, professionisti.

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