CONCERTO IN DICROMIA – COLAPESCE LIVE AT MONK

di Leonardo Gallato

CONCERTO IN DICROMIA – COLAPESCE LIVE AT MONK

di Leonardo Gallato

CONCERTO IN DICROMIA – COLAPESCE LIVE AT MONK

di Leonardo Gallato

Racconto su Isola di fuoco (Colapesce live at Monk, Roma, 21 ottobre)

Arriviamo al Monk leggermente in anticipo, la sala è buia, ancora vuoti i posti a sedere. Ci sediamo in seconda fila. Sul palcoscenico, al centro, il vero protagonista è il telo ancora bianco di un proiettore. Alla sua sinistra, al lato del palco, una jaguar, un’acustica, dei microfoni, un timpano, un ride, delle tastiere, un computer. Siamo al buio, è quasi tutto nero. Nella penombra la sala comincia a riempirsi.

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Vittorio de Seta

Entrano finalmente sul palco Lorenzo Urciullo, per gli amici Colapesce, e l’amico Mario Conte, ma le luci non si accendono. Avanzano nell’oscurità e si piazzano sul lato destro del palco. Un timido applauso li accoglie: non si vuole distruggere il silenzio. Nel buio all’improvviso emerge da chissà quale aldilà la voce sognante di Vittorio de Seta. Finalmente parte il video: ecco il rosso. Ci inonda la vista. Gli occhi abituati alla penombra si risvegliano violentati dal rosso vivo della lava che scorre sullo schermo.

Anche la musica comincia. I synth sono solo di un colore: rosso. È un’amalgama perfetto. Nemmeno il tempo di abituare la vista e l’udito al rosso che ecco, arriva il secondo protagonista della serata: il blu. Arriva con il mare, con i pescherecci, con i pescatori che, quasi ombre, all’alba raggiungono il largo. La musica segue il percorso delle immagini. Dal rosso della lava sfuma per gradi verso i colori più freddi. Arriva la voce di Colapesce, tenue, morbida. Arriva Thalassa. Ecco allora che il concerto ci svela, proprio ad inizio serata, i due colori che faranno da protagonisti, da leitmotiv: il rosso e il blu. Si cercheranno, si rincorreranno, si alterneranno, si incontreranno sullo schermo. Ecco il blu del mare tingersi del vermiglio sangue dei tonni. Ecco la mattanza che colora di rosso il blu. Ecco il nostro violento, non biblico, spietato, miracolo siciliano.

La musica non si sovrappone mai alle immagini, non è mai eccessiva. Lorenzo, Marco e Vittorio (o meglio sarebbe dire Federico Frascherelli, che concerta le sue immagini) sono un’unica opera in questo momento, un’unica realizzazione artistica estemporanea. Così come il blu del mare si fonde con il rosso vivo del sangue dei tonni, la voce di Lorenzo si fonde più volte con quella della cialoma dei tonnaroti, dei vari canti di lavoro delle immagini, senza mai eccedere, amalgamandosi a poco a poco, per poi, molto lentamente, emergere. I brani che vengono fuori hanno cambiato la loro solita veste, quella che conosciamo tutti. Adesso indossano un colore per volta: il rosso o il blu. E mai si discostano dai loro gemelli visivi sullo schermo. Ecco allora il blu e il freddo di Bogotà (Io la notte ancora sto sveglio / a pensare al tempo che ho perso / e ne accumulo altro) acceso e riscaldato dalla nuova veste elettronica, dai grassi synth imperanti che per contrasto accendono nelle nostre menti solo un altro colore: il rosso. Il miracolo è avvenuto, l’ipnosi riuscita. Riusciamo a vedere solo i due colori che Colapesce, in suoni e in immagini, ha voluto mostarci fin dall’inizio. Le immagini sullo schermo si susseguono: la caccia al pesce spada, i canti di festa, la mietitura del grano. Arriva sullo schermo la difficile esistenza degli abitanti delle Eolie, tra il il profondo blu del mare e il rosso che sgorga dalle viscere della terra. Arrivano la gioia, le feste di paese.

Ma la gioia in Sicilia è un sentimento ambiguo. La luce porta con sé il lutto, per dirla con le parole di un vecchio conterraneo. Ed ecco allora sullo schermo un manipolo di uomini incappucciati, e un uomo che porta una croce sulle spalle. Ecco il rosso sulle maglie dei legionari romani. Ecco il rosso sul volto di Cristo. Questa volta il blu non è affidato alle immagini, è nelle parole e nella voce di Lorenzo. La rossa Via Crucis è accompagnata dalla blu, dalla malinconica L’altra guancia. Il pezzo mantiene la sua veste lenta e distesa. Mantiene la volontà espressa nelle sue parole di aggrapparsi a quel minimo di vita che è il salvabile, e che ci può salvare (non vedo luce in questa stanza / la mediocrità poggiamola qui / ridifendiamo le idee con il fiato e con le labbra… Ci sono dei giorni in cui le ore sono briciole / raccolgo i minuti sopra il tavolo / la vita è solo una manciata di domeniche / nascondo le ore sotto il tavolo). Il concerto comincia a sfumare verso colori più tiepidi. Non più il rosso dell’inizio, procediamo gradatamente verso il blu finale. Sulle immagini di Un uomo a metà, lo sguardo malinconico e spiazzato di Jacques Perrin viene assorbito dall’altrettanto spiazzante La distruzione di un amore (come un cecchino / senza le munizioni / al suo primo lavoro / ti sentirai). Al ritornello la malinconia è padrona della sala (Come quando / sono a un palmo di naso / dalla tua pelle / e non riesco a sfiorarti / non riesco a sfiorarti). Il blu è ovunque. Ma anch’esso sta per spegnersi.

Arriva il groppo in gola. Torna il buio in sala. Torna il silenzio.

di Leonardo Gallato, all rights reserved

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