Il colore nascosto delle cose: un dialogo nel buio

di Natalina Rossi

Il colore nascosto delle cose: un dialogo nel buio

di Natalina Rossi

Il colore nascosto delle cose: un dialogo nel buio

di Natalina Rossi

Uomini e donne parlano, ridono, si toccano, si urtano i corpi e le sensibilità, bisbigliano paure, poi tornano alla luce, ai colori non più nascosti delle cose. Si sentono diversi, per un attimo migliori, indossano le loro protezioni dal mondo, sciarpe e guanti, e forse hanno già dimenticato. Ma in questo “Dialogo nel buio”, incontro durante il quale, guidati da un cieco, i presenti si calano nei suoi occhi vuoti per fare esperienza del proprio corpo, alla luce di una cecità temporanea, Soldini inserisce i suoi due personaggi: Teo (Adriano Giannini) ed Emma (Valeria Golino). Lei è la guida cieca, lui il cieco temporaneo, minacciato nella vita reale da una forma di cecità ben più grave: la distrazione. Fa il pubblicitario, Teo, distrae le persone da ciò che stanno guardando, e distraendo gli altri ha finito per perdere di vista, e qui il rimando agli occhi è d’obbligo, la sua stessa vita: ha una compagna sì, ma ha anche un’amante e un robot che lo aspetta in casa ogni sera per pulire le superfici già in apparenza linde di una vita ordinaria.  L’incontro con Emma segna il passaggio dal bianco e nero al colore. Lei, osteopata, sa come ogni guarigione parta dal corpo, Emma, cieca, sa come ogni immagine si nutra di immaginazione; e così le sue mani finiscono per guarire il corpo di Teo e i suoi occhi opachi per dare colore alle sue (nuove) e più limpide idee.

Quella di Soldini è una scelta di leggerezza precisa: dopo il documentario Per altri occhi, girato con Giorgio Garini, il regista di Pane e Tulipani riprende una storia di cecità abbandonando ogni intento paradigmatico e ogni velatura drammatica.  Emma è una donna cieca, Patti, l’amica che le sta sempre accanto interpretata da Arianna Scommegna (già vista ne La Variabile Umana e Scialla – Stai sereno) è ipovedente, le due hanno costruito nel tempo una vita semplice ed è questa strenue, ma mai forzata, lotta quotidiana in nome di una semplicità che noi chiameremmo abitudine, perpetrata nel labirinto dedalico di una camera buia, come dimostra anche la scelta registica e quasi costante del formato 4:3) a commuoverci e a cambiare la vita di chi l’uscita dal labirinto ce l’aveva di fronte, senza riuscire mai a vederla.

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