Cinema (ri)chiusi

di Redazione The Freak

Cinema (ri)chiusi

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Cinema (ri)chiusi

Cinema (ri)chiusi

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Lo scorso 8 marzo, a seguito dell’adozione del celebre DPCM e delle relative misure per il contenimento ed il contrasto alla diffusione del Covid-19, tutto il Paese è stato costretto a dei sacrifici personali, economici e professionali. Fabbriche e uffici chiusi, ad esclusione delle attività essenziali. Scuole ferme con insegnanti e studenti costretti a lezioni da casa. L’arte ha dovuto fare la sua parte e così tutti i grandi eventi sono stati cancellati o rinviati: concerti, opere teatrali, fiere e altro. Persino il calcio, il passatempo principale del nostro paese, ha dovuto chiudere i battenti e la Serie A si è fermata. Il cinema anche. Sale chiuse e film in uscita bloccati nei magazzini dei distributori.

Ma alla fine, dopo quasi sessanta giorni di lockdown, sono iniziate le riaperture, ad esclusione di tutto ciò che avrebbe portato il rischio di grandi assembramenti. Solo dal 15 giugno, infatti, i cinema sono tornati a poter a proiettare film ma con delle limitazioni: massimo 200 spettatori, distanziati di almeno un metro l’uno dall’altro. La prima limitazione riguarda solo le grandi multisale che vedono ridursi il numero di posti vendibili nelle loro sale grandi. La seconda invece colpisce anche i piccoli esercenti, i gestori di piccole sale o di cinema di provincia che vedono ridursi di tanto il numero di potenziali spettatori per singola proiezione. Se si considera poi la scarsità di nuovi prodotti distribuiti, non ci si può stupire che la maggior parte dei cinema in Italia rimarranno chiusi nonostante il via libera del Governo. Un vero e proprio cane che si morde la coda: i distributori non mandano nuove pellicole perché poca gente le andrà a vedere in sala e tante sale rimarranno chiuse perché non hanno film da proporre ad un pubblico limitato.

Una situazione desolante per gli esercenti delle sale che già prima del lockdown non avevano una vita facile. C’è un lato positivo, però: finalmente sarà chiaro a tutti che la colpa di questa crisi non è di Netflix e delle altre piattaforme streaming ma di un sistema fallato. Come tanti settori, il cinema in Italia dovrebbe cogliere questo momento per cercare di migliorarsi. Le sale in Italia fanno schifo, sono sempre più lontano dai centri città e difficili da raggiungere e la distribuzione nostrana è priva di coraggio. Ma affrontiamo un problema alla volta.

I piccoli cinema cittadini hanno un arredamento che va contro il confort dello spettatore, con sedili stretti (chi scrive supera di poco i 180 cm di altezza e spesso su ritrova con le ginocchia nella schiena dello sfortunato seduto davanti). La qualità audio-video è pessima, con schermi vecchi, proiettori usurati e sistemi di riproduzione audio antiquati. Non riescono però a rinnovarsi, date le enormi spese di gestione e tassazioni impietose né a competere con le grandi multisala, che però sono sempre locate lontano dal centro e, per chi non automunito, è un incubo logistico. Senza contare il fatto che anche queste ultime, comunque, tendono a lavorare con schermi e proiettori di dubbia qualità.

Tutte e due le categorie soffrono una distribuzione poco coraggiosa e scellerata che non aiuta. Vengono proposti solo film di maggiore interesse mediatico che, però, vanno a creare una scarsa varietà d’offerta. Quando invece ci sono titoli interessanti, vengono proposti in maniera insensata, posticipandone l’uscita. Esemplare il caso Capri-Revolution di Martone, citato da Christian De Sica nella bellissima intervista di Francesco Alò per la badtaste.it: presentato con successo al Festival di Venezia 2018 a settembre, fu mandato in sala tre mesi dopo sotto Natale, contro prodotti più in linea con quel periodo.

Il cinema è a tutti gli effetti un comparto industriale, nonostante il rifiuto dei suoi maggiori interpreti di prenderne atto. Come tale andrebbe trattato, da chi ci lavora e da chi lo regola. L’esperienza della sala è un’esperienza irreplicabile e andrebbe tutelata. Servirebbero delle azioni concrete a supporto, come incentivi per la ristrutturazione, un abbassamento della tassazione così da permettere un prezzo dei biglietti più basso e, di conseguenza, riportare la gente in sale che risulterebbero concorrenziali a quelle piattaforme di streaming troppo spesso demonizzate senza un motivo che non sia quello di trovare un capro espiatorio che distragga dalla propria incompetenza.

di Fabrizio Lucati, all rights reserved

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