CILE: cosa sta succedendo?

di Salvatore D’Apote

CILE: cosa sta succedendo?

di Salvatore D’Apote

CILE: cosa sta succedendo?

di Salvatore D’Apote

La situazione cilena, da quasi due mesi, si presenta complicata e caotica. Per fare chiarezza, ci sarà utile partire dagli inizi della rivoluzione, ripercorrendo e analizzando le motivazioni socioculturali che hanno messo in subbuglio il Paese guidato da Sebastián Piñera.

Un modesto aumento delle tariffe della metropolitana, iniziato il 6 ottobre, ha portato gli studenti delle scuole superiori a saltare i tornelli nelle stazioni della metropolitana di Santiago, la capitale cilena. Questo gesto, promosso come un atto di disobbedienza civile, è rimbalzato sui social tramite l’hashtag #EvasionMasiva, o “Mass Evasion,” sui social media.

Mentre l’evasione tariffaria diventava dilagante, alcune stazioni della metropolitana hanno chiuso e la polizia ha represso violentemente i passeggeri che avevano saltato i tornelli.

È stata questa la scintilla che ha infiammato le grandi proteste di strada, che presto sono diventate molto più che una rivolta contro il costo maggiorato della metropolitana. Quello che è iniziato come un atto di disobbedienza civile guidato da studenti si è trasformato in un’ampia rivoluzione contro la disuguaglianza e contro le correnti politiche economiche.

Molti cileni della classe media e povera hanno detto di essere stufi dell’aumento dei costi dei servizi pubblici, dei salari stagnanti e delle pensioni misere in una nazione che da tempo si è proclamata e prospera e in crescita. L’economia cilena è stata scossa quest’anno dalle tensioni commerciali globali, dalla caduta del prezzo del rame – la sua principale esportazione – e dall’aumento dei prezzi del petrolio. Nonostante questo il paese è cresciuto ad un ritmo ragionevolmente sano, dimostrandosi un’economia più forte rispetto ai suoi vicini. Tuttavia, la disuguaglianza rimane profondamente radicata in Cile e molti cileni si sentono lasciati indietro dai decisori politici.

Ma qual è stata la risposta del governo? Mentre saccheggi e atti di vandalismo si sono via via diffusi, il presidente Sebastián Piñera, spaventato, ha dichiarato lo stato di emergenza, affidando ai militari il compito di ristabilire l’ordine: passo molto delicato nell’ evoluzione delle proteste, poiché stiamo parlando di un paese dove i militari avevano ucciso e torturato migliaia di persone solo pochi decenni fa, in nome della stessa ragione.

Nonostante la pesante repressione di Sebastián Piñera rievochi i ricordi della dittatura, i disordini sono proseguiti, costringendo il Presidente cileno a far dimettere otto membri del governo.

“Siamo in guerra contro un nemico potente”, aveva dichiarato Piñera all’inizio dei subbugli. Lo aveva sostenuto dichiarando lo stato di emergenza in gran parte del paese, imponendo il coprifuoco e dispiegando ingenti forze militari. Nel caos, migliaia di persone sono state arrestate, diverse migliaia ferite e si contano anche decine di morti. Tutti questi eventi suonano come un’ eco del brutale regno del Generale Augusto Pinochet, che ha ucciso e torturato migliaia di persone tra il 1973 e il 1989.

Il Cile è spesso considerato un caso esemplare, un paese che ha perso il suo passato repressivo ed è diventato sia politicamente pacifico che economicamente prospero. E in una certa misura così è stato. Ma la sua Costituzione, redatta nel 1980 durante il governo di Pinochet, ha creato la base giuridica per un modello economico guidato dal mercato che ha privatizzato le pensioni, la sanità e l’istruzione. La dittatura cilena ha distrutto i diritti di contrattazione collettiva, decimato il sistema di istruzione pubblica e consegnato programmi di sicurezza sociale, assistenza sanitaria e servizi pubblici ad imprese private. Il Cile è poi caso esemplare anche per un altro motivo: un alto reddito pro capite lo rende statisticamente un paese ricco, almeno per gli standard dei paesi Latinoamericani. Pensioni miseramente basse per gli anziani, un’istruzione superiore troppo costosa per i giovani, un’assistenza sanitaria mediocre per gli adulti lavoratori e un senso di comunità sempre più ristretto per tutti lo rendono, al contempo, anche un paese povero.

Ma non è tutto. Il Cile ha uno dei più alti costi di vita in Sudamerica. Oggi il paese è considerato uno dei più disuguali nel gruppo di nazioni dell’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo. I cileni protestano perché si trovano in difficoltà finanziarie e, per questo, hanno poco o nulla da perdere. La classe media latino-americana è infatti il prodotto di una crescita economica a lungo termine, anche se modesta, nel corso dell’ultimo quarto di secolo.

Nonostante il coprifuoco sia stato revocato – e il Presidente Piñera abbia delineato un piano di riforma del sistema pensionistico – per i manifestanti queste azioni appaiono in gran parte simboliche, non riuscendo ad offrire cambiamenti significativi al modello economico cileno guidato dal mercato. Molti chiedono un’assemblea che si impegni a sostituire la Costituzione del 1980, le cui disposizioni richiedono una super-maggioranza per approvare importanti cambiamenti politici, rendendoli de facto impossibili.

È per questo che il Cile ha bisogno di riforme ed è proprio per questo che i legislatori cileni hanno concordato di accelerare le riforme per rafforzare la sicurezza, avvertendo che una recrudescenza della violenza e del vandalismo minacciava di far deragliare la democrazia trentennale del paese. Quasi due mesi di disordini per la disuguaglianza e servizi sociali scadenti hanno intaccato il sistema di trasporto pubblico della capitale – una volta invidiato dall’America Latina – e hanno causato miliardi di perdite per gli affari privati. In un accordo raggiunto tra il partito al governo e i legislatori dell’opposizione, si è riconosciuto come il governo abbia fatto troppo poco e si sia mosso troppo tardi per arginare la crisi. I legislatori hanno concordato di portare avanti con determinazione le riforme sulla sicurezza, esortando Piñera ad utilizzare gli strumenti costituzionali a sua disposizione per sedare la violenza, proteggendo al tempo stesso i diritti umani.

Un nuovo ciclo di attacchi e rivolte recenti ha poi fatto precipitare la moneta cilena, il peso, ad un nuovo minimo contro il dollaro, mentre le previsioni di crescita economica e disoccupazione sono sempre più cupe. “La violenza sta causando danni che possono diventare irreparabili per il corpo e l’anima della nostra società”, ha detto Piñera commentando gli ultimi avvenimenti.

Le proteste sembrano guidate dalla sfiducia che i politici manterranno le loro promesse di portare cambiamenti significativi e da una furia duratura per la gestione dei manifestanti da parte della polizia. Appare chiaro – guardando anche al resto dei paesi dell’America Latina – che le nuove e vecchie classi medie latinoamericane chiedono a gran voce – alle urne, nelle strade, sui social media – la fine della corruzione e della violenza. Si richiede senza utopia e a gran voce uno stato sociale che potrebbe ridurre le disuguaglianze, migliorare i servizi pubblici e aumentare i redditi: ciò costerà molto denaro, ma il paese ha le finanze pubbliche abbastanza sane per poterlo pagare, ponendo fine al risentimento e al dissenso capillare che attraversa la maggior parte della popolazione.

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In copertina, illustrazione di Tiziano Lettieri

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