Chi sono, da dove vengono e cosa vogliono i Gilet Jaunes: anatomia di un movimento

di Mauro Mongiello

Chi sono, da dove vengono e cosa vogliono i Gilet Jaunes: anatomia di un movimento

di Mauro Mongiello

Chi sono, da dove vengono e cosa vogliono i Gilet Jaunes: anatomia di un movimento

di Mauro Mongiello

La Francia e Parigi non conoscevano manifestazioni e atti dimostrativi di tale portata dalle rivolte delle banlieue del 2005; oggi come allora, a determinate rivendicazioni di massa si sono uniti episodi di guerriglia urbana e devastazione. Stiamo parlando del movimento dei cosiddetti “gilets jaunes”, i gilet gialli che da giorni occupano buona parte dei palinsesti delle nostre tv nazionali.

Rispetto a tredici anni fa, nelle strade francesi è sceso in piazza un tipo di manifestante radicalmente diverso: al cittadino francese di seconda o terza generazione, magistralmente raccontato da Kassovitz in “La haine”, i cui nonni o genitori provengono dalle ex colonie africane e del Maghreb, cresciuto nell’estrema periferia parigina o marsigliese, senza sbocchi per il futuro e senza concrete prospettive di ascensore sociale, si è sostituito un dimostrante perlopiù inquadrato in un ceto sociale “proletarizzatosi” con la crisi economica. In poche parole, si tratta di quella piccola-medio borghesia di provincia per la quale la possibilità di vivere una vita dignitosa era più di una prospettiva, venuta meno però con i venti di austerità che imperversano sulle politiche economiche europee.

Si tratta di un movimento senza particolari referenti politici, tanto a livello francese quanto per gli endorsement internazionali: basti pensare a come Jean-Luc Melenchòn, il leader dell’area politica che si muove a sinistra del Partito Socialista Francese, e Marine Le Pen, col suo Front National, abbiano cercato di cavalcare l’onda delle proteste. In Italia, per esempio, si è registrato il curioso caso del doppio cappello apposto da Casapound e da Potere al Popolo, due formazioni agli antipodi per storia politica ed ideologie.

La protesta del fronte giallo si è compattata di fronte alla possibile introduzione di una tassa ecologica sul diesel; un provvedimento che, nelle intenzioni del governo Macron, avrebbe dovuto premiare una forma di transizione ecosostenibile (dai veicoli a benzina alle auto elettriche ed ibride), corredata da finanziamenti per coloro i quali si fossero dotati di mezzi di trasporto del genere. Giova inevitabilmente ricordare come, almeno secondo le attuali quotazioni di mercato, questo tipo di veicoli abbia costi di acquisto e di mantenimento non facilmente sostenibili per quelle classi sociali da cui il movimento dei Gilets Jaunes attinge a piene mani.

Ecco, quindi, messe in discussione le linee di indirizzo generali dell’esecutivo Macron; sotto la lente d’ingrandimento sono finite le riforme fiscali, tutte tese a favorire i grandi capitali –si pensi all’ abolizione della cosiddetta “imposta sulla fortuna”, una sorta di patrimoniale- e i provvedimenti in tema di lavoro – come ad esempio la privatizzazione del sistema ferroviario francese-.

Sul palcoscenico europeo si è riproposto insomma il tema della massa popolare contrapposta alle elites e, per inciso, ancora una volta la sinistra parlamentare italiana ha fatto fatica ad intercettare alcune forme di malcontento su cui può costruirsi una solida base elettorale interna, lasciando campo a chi siede sugli scranni governativi.

Negli ultimi giorni, Macron ha fatto registrare un’importante apertura politica rispetto alle richieste dei dimostranti; il presidente ha riferito di comprendere la rabbia dei cittadini francesi e ha promesso l’annullamento della tassa sul diesel, oltre ad una patrimoniale di più ampio respiro sui patrimoni ingenti del Paese, all’ aumento del salario minimo e allo stop al prelievo sulle pensioni inferiori a 2000 euro.

E’ compito dei politologi domandarsi quanto abbiano influito le violenze perpetrate nel corso delle manifestazioni, peraltro ben bilanciate dalle azioni della polizia, come nel caso dei liceali lasciati in ginocchio per svariate ore sotto la minaccia delle armi; di certo, la frangia più estrema della protesta non ritiene sufficienti le promesse dell’ex enfant prodige della politica francese, giudicate alla stregua di un contentino per calmare gli animi.

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