Caucaso rosso:
tragedia silenziosa

Caucaso rosso, una tragedia nel silenzio

Al confine fra Armenia ed Azerbaijan si sta consumando
uno dei conflitti internazionali più sanguinosi degli ultimi tempi

di Simone Pasquini

Caucaso rosso:
tragedia silenziosa

Caucaso rosso, una tragedia nel silenzio

di Simone Pasquini
CAUCASO

Caucaso rosso:
tragedia silenziosa

di Simone Pasquini

Nelle ultime settimane su alcuni giornali e telegiornali, ma soprattutto su internet sono circolate immagini di un’inaudita brutalità provenienti dal Caucaso. In un territorio montuoso al confine fra Armenia ed Azerbaijan conosciuto come Nagorno-Karabakh, si sta consumando uno dei conflitti internazionali più sanguinosi degli ultimi tempi. 

Il Nagorno-Karabakh, luogo che molti di noi non avevano mai neppure sentito nominare prima di queste vicende, è una piccola realtà statale sorta su un territorio montagnoso aspro quanto affascinante, la cui popolazione è composta principalmente dall’etnia armena. L’intervento militare azero nell’aerea causò lo scoppio di una guerra fra i due Paesi che infuriò dal 1992 al 1994, anni in cui la regione assistette a decine di migliaia di vittime e di profughi, bombardamenti e perfino casi di pulizia etnica. Al termine delle ostilità le forze armene e del Nagorno emersero vincitrici del conflitto, riuscendo fino ad oggi a difendere l’indipendenza della regione dall’aggressione azera, sebbene le Nazioni Unite abbiano fino ad oggi considerato la regione legittimamente parte dell’Azerbaijan.

Con ogni probabilità, il principale responsabile del riaccendersi delle ostilità lo scorso 27 settembre è da ricercarsi in Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan ormai dal lontano 2003: ultimo erede, per così dire, di una dinastia familiare che affonda le sue origini nell’establishment dell’ex Repubblica Socialista Azera, Aliyev è riuscito nel corso degli anni a trasformare il suo ormai lunghissimo mandato in una sorta di presidenzialismo autoritario, grazie soprattutto all’appoggio del suo “Partito del Nuovo Azerbaijan.

Sin dalle prime settimane del conflitto sono emersi dati terrificanti. Su canali Telegram riconducibili a soldati ed operatori azeri sono comparsi video che documentavano sommarie esecuzioni di civili e militari armeni. Il particolare clima da guerra santa che si è andato creando in entrambi gli schieramenti non ha fatto altro che alimentare le violenze, inducendo l’Azerbaijan a ricorrere anche a mezzi brutali e contrari al diritto internazionale umanitario.

Già il 5 ottobre osservatori di Amnesty International avevano confermato che la città di Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh, martellata dall’artiglieria, era stata perfino bombardata dall’aeronautica azera con bombe a grappolo di fabbricazione israeliana. Le bombe a grappolo sono progettare per il rilascio di una miriade di ordigni più piccoli poco prima dell’impatto. Tuttavia già da tempo la comunità internazionale considera un crimine di guerra l’utilizzo di simili ordigni, in quanto ad una scarsa efficacia contro l’obiettivo si accompagna una estrema pericolosità per la popolazione civile (in particolare per i bambini), in quanto una grande quantità di questi piccoli ordigni non esplode immediatamente, rimanendo sul terreno.

Inoltre, numerosi video amatoriali girati sulla linea del fronte hanno dimostrato l’impiego da parte dell’Azerbaijan di armi al fosforo bianco. Se non avete mai sentito parlare di questo prodotto, la prima cosa che bisogna sapere è che si tratta di una delle armi più subdole della storia. Utilizzate per la prima volta durante la guerra in Vietnam, le armi incendiarie al fosforo bianco sono particolarmente odiose in quanto esso, una volta in combustione, si attacca ai vestiti ed alla pelle bruciando in profondità tessuti molli e perfino ossa senza che sia possibile smorzare le fiamma. 

Poiché però questo stesso prodotto è utilizzato in molti altri dispositivi ad uso militare non offensivo, come ad esempio razzi illuminanti o cortine fumogene, la Convenzione sulle armi chimiche non proibisce la sua produzione per l’industria bellica. Tuttavia, numerosi stati hanno ratificato la “Convenzione delle UN su certe armi convenzionali”, la quale proibisce l’utilizzo offensivo di armi incendiarie in quanto eccessivamente dannose o i cui effetti sono impossibili da circoscrivere ai soli obiettivi militari. Questi stessi video dimostrano come purtroppo queste armi siano state utilizzate non solo contro obiettivi militari, ma persino contro centri abitati.

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