“Nei giorni di vento nord-nord/ovest veniamo sepolti da polveri di minerale e soffocati da esalazioni di gas provenienti dalla zona industriale “Ilva”. Per tutti questi, gli stessi “maledicono” coloro che possono fare e non fanno nulla per riparare”: si legge sulla targa posta da Giuseppe Corisi, operaio dell’ILVA, prima di morire, in via De Vincentis, nel rione Tamburi.Oggi diventa legge la previsione che mette fine alla immunità penale per chi, nella gestione degli impianti tarantini, commette reati ambientali. Chi ha fatto, chi avrebbe potuto fare e non ha fatto per riparare?
Ne parliamo con Luciano Manna, attivista, militante, esponente di PeaceLink.
Chi ha fatto, chi avrebbe potuto fare e non ha fatto per riparare?
«Se il governo non trova una soluzione, il 6 settembre l’impianto chiuderà» ha dichiarato l’amministratore delegato di ArcelorMittal Europa, dopo che il Ministro Di Maio ha annunciato che da quella data non sarà più invocabile l’immunità penale per i gestori dello stabilimento tarantino. L’annuncio è appena diventato legge, con la fiducia posta dal governo sul decreto crescita e approvata dal Senato con 158 sì, 104 contrari e 15 astenuti.
Come si è arrivati alla gestione di ArcelorMittal e quali sono stati i passaggi che ad oggi hanno consentito all’Ilva di proseguire l’attività nonostante il sequestro della procura?
È una domanda complessa che racchiude un contesto articolato, dislocatosi nel corso degli anni. È davvero assurdo che un privato possa gestire un impianto in Italia imponendo un ricatto occupazionale, nonchè una deroga alla Costituzione, già prevista dai decreti del governo Renzi che nel 2015 riconoscevano l’immunità penale per i commissari di governo e poi per gli acquirenti privati, come ArcelorMittal. In tutta sincerità non penso che il 6 settembre chiuderà lo stabilimento, purtroppo sono ricatti che si fanno sulla pelle e sulla salute della gente. Lo stesso ricatto lo fece Calenda nel 2017 quando il presidente della Regione Emiliano impugnò dinnanzi al TAR il d.p.c.m. del 2017 che è totalmente incostituzionale, così noi associazioni e cittadini abbiamo impugnato il decreto del 2017 davanti al Presidente della Repubblica.
Nel luglio 2012 gli impianti, l’area a caldo, gli altiforni, i parchi minerari, l’agglomerato, le acciaierie venivano sequestrati dalla magistratura. Di fatto, gli impianti non si sono mai fermati: a ottobre il ministro Clini dispone la revisione dell’AIA, l’autorizzazione integrata ambientale. Nel dicembre 2012 il Governo Monti emana il primo “decreto salva Ilva”, che incamera l’AIA di ottobre, così superando l’azione della magistratura. È proprio la procura di Taranto con l’allora procuratore Franco Sebastio che impugna il primo decreto. Si arriva ad aprile 2013 con la pronuncia della Corte Costituzionale che riconosce la legittimità del primo decreto ma a condizione che vengano rispettate le prescrizioni dell’AIA. Quella autorizzazione doveva essere terminata nel 2015, i decreti successivi non hanno fatto altro che allungare le tempistiche. A tutt’oggi ci sono indagini sulla mancata attuazione di quella autorizzazione che era presupposto della legittimità dei decreti. Nel 2017 si fa un’altra AIA, subentra un nuovo acquirente, l’ArcelorMittal, che si beneficia dell’immunità penale per i gestori dell’impianto e i commissari. L’attuazione delle prescrizioni viene così rimandata al 2023, nonostante quelle precedenti avrebbero dovuto essere attuate nel 2015.
Perchè c’è stato bisogno di prevedere l’immunità e quali interventi di messa in sicurezza sono stati ad oggi attuati?
C’è stata la necessità assurda di derogare alla Costituzione con la previsione della immunità penale rispetto alla commissione di reati ambientali perché gli impianti non sono a norma. Di fatto c’è già una messa in pratica di tale immunità: nel 2014-2015 si scoprirono nei deposimetri della rete per la qualità dell’aria livelli di diossina depositati nel quartiere Tamburi, adiacente all’Ilva, più alti del disastro di Seveso. La procura indaga e il pm Bucoliero ha dovuto chiedere l’archiviazione al GIP in forza del decreto del governo Renzi. Gli impianti, nelle more di attuazione dell’AIA, possono così continuare a produrre nonostante quei livelli di diossina.
Come avete accolto la notizia della cessazione dell’attività? Era attesa o “una sorpresa”, come l’ArcelorMittal appella la decisione del Governo sulla immunità?
Non c’è stata nessuna sorpresa, sono ricatti che si attuano in una situazione assurda in cui a Taranto non esiste più la Costituzione: questi decreti che consentono ad ArcelorMittal di gestire l’impianto sono stati già censurati da una sentenza CEDU del 2019, che condanna l’Italia per violazione dei diritti dei cittadini. Il governo aveva due possibilità: impugnare la sentenza o attuarla e quindi legiferare in senso conforme alla pronuncia. Non è un caso che a marzo il Gip Benedetto Ruberto abbia sollevato questione di legittimità costituzionale proprio con riferimento alla previsione della immunità penale.
Qual è la soluzione alternativa che proponete, per evitare che lavoro o danno alla vita o alla salute siano, alternativamente, “esternalità negative”, per usare una espressione utilizzata proprio con riferimento alla situazione tarantina dall’ordine dei medici?
Chi denuncia dei reati ambientali non è obbligato anche a fare una proposta alternativa: spesso questa obiezione ci viene sollevata nei dibattiti da politici. Ma non è competenza nostra. A Taranto sono saltati tutti i ruoli: dove è scritto che un cittadino che esercita i suoi diritti denunciando qualcosa deve anche proporre la soluzione? Questa deve essere fornita dal Ministero, dal Comune, dalla Regione. Il Ministero già venti anni fa avrebbe dovuto avere un piano industriale ed energetico. Non dimentichiamoci che in tutti i Paesi europei chi aveva problemi di inquinamento di questo tipo li ha risolti iniziando a progettare già alla fine degli anni ’90 e oggi ha risolto il problema. È assurdo come riconversioni siano state attuate in Europa e a Taranto addirittura si deroghi alla Costituzione.
La soluzione alternativa, quindi, è un Governo serio che abbia un piano industriale ed energetico e attui il TUA. Ricordiamo che in Italia il Ministero dell’ambiente è quello che ha meno risorse economiche. Si attua con la progettazione, che intersechi la tematica industriale, ambientale, sociale.
Non a caso quando a Genova hanno fatto l’accordo di programma, che mette in linea tutti i livelli istituzionali, con la previsione del prepensionamento, dismissione degli impianti, hanno chiuso l’area a caldo e ora continuano la produzione. A Genova si poteva fare, a Taranto possiamo crepare in pace.
Come Peacelink, qual è stato il vostro lavoro di monitoraggio e di intervento?
È stato un lavoro di documentazione impressionante, che si è sostituito in alcuni casi a quello delle istituzioni. Nel 2013 la Commissione Europea, dovendo decidere sulla procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, ha ascoltato Peacelink (che è iscritta al registro di trasparenza della commissione europea) che ha realizzato un dossier, di cui sono stati titolari Marescotti, Battaglia e Manna, che consente alla commissione di proseguire. Con il cambio del commissario europeo Janez Potocnik c’è stata una interruzione della procedura, ferma al 2014 con il secondo step.
Peacelink ha inoltre fatto un imponente lavoro di accesso agli atti, ad esempio rispetto alla contaminazione dei parchi minerari, del suolo e della falda, ad oggi pubblicato solo sul sito di Peacelink e non su quello del Ministero. La nostra documentazione viene usata nei processi. E anche se siamo costituiti parte civile, rifiuteremo qualsiasi tipo di indennizzo. Siamo dentro al processo in maniera totalmente gratuita. Siamo inoltre parte lesa nel processo Leucaspide, dopo aver trovato catrame che affiorava dal terreno: l’Ilva avrebbe gettato cinque milioni di tonnellate di rifiuti in una gravina naturale di proprietà della famiglia De Filippis.
Eppure in Italia la cittadinanza attiva viene considerata allarmista: il professor Marescotti è stato tacciato di allarmismo per aver preso dati ARPA e averli pubblicati. Prendi dei dati ufficiali, ad esempio sulla diossina nelle cozze o la malformazione dei bambini, e ti denunciano per procurato allarme. Siamo ad un livello basso in cui la politica non riesce a reperire neppure i dati e non riesce a competere con quello che Marescotti chiama attivismo civico. Peacelink non ha mai inventato dati, li ha soli resi pubblici.
Qual è l’attuale situazione ambientale? Come è stato possibile che si consentisse l’attività senza interventi di bonifica?
L’attuazione dello scempio l’abbiamo nei decreti salva Ilva, che consentono al gestore di proseguire l’attività negli impianti senza passare dalle procedure per l’area SIN. In domanda di Aia ArcelorMittal ha chiesto di essere svincolato dalle procedure a cui bisogna attenersi nelle aree SIN: conferenza di servizi, piani di caratterizzazione approvati, interventi di bonifica e messa in sicurezza di emergenza e operativa. Tutto ciò è stato bypassato e si concede a ArcelorMittal il nullaosta senza fare messa in sicurezza in emergenza nè bonifiche. La situazione è irreversibile nella misura in cui hai una falda profonda a quindici- venti metri che p contaminata e consente la migrazione di inquinanti, nei mitili e nei pesci, al Mar Piccolo e Mar grande. Infatti proprio uno dei capi di imputazione si riferisce alla contaminazione di sostanze alimentari.
Cosa vi aspettate dall’incontro del 4 luglio tra i ministro Di Mario e l’amministrazione di ArcelorMittal?
Non ci aspettiamo assolutamente nulla. Se la politica oggi avesse intenzione di risolvere le cose a Taranto, agirebbe in un altro modo. Ricordo che quando nacque il Movimento cinque stelle parlava di tante cose belle: riconversione economica, culturale, aveva Rifkin sempre sulla bocca. Dov’è l’attuazione della terza rivoluzione industriale? A Taranto siamo al carbone, al minerale fossile, al carbon coke, al benzopirene, alla diossina e ai furani. Di Maio fa parte di un movimento che è al governo con la Lega e deve attuare la linea della Lega che è tutt’altro di terza rivoluzione industriale, ma “andate avanti purchè si produca acciaio”, ammazzando la gente. Lo dicono gli studi epidemiologici, pubblicati negli studi sentieri e del dottor Forastiere, che è stato il primo a correlare l’inquinante alla patologia. Non parliamo di sensazioni o pareri ma di scienza.
di Sabrina Cicala, all rights reserved