Carnot – Come fai a cambiar pelle

di Cristina

Carnot – Come fai a cambiar pelle

di Cristina

Carnot – Come fai a cambiar pelle

di Cristina

Colpire al cuore, farlo con la potenza della musica e una voce intensa, uscirne fuori con un urlo viscerale. Accelerare il ritmo, spingere forte, lasciar andare i freni inibitori. Bisogna comunicare, trovare una via espressiva che propaghi energia.

I Carnot, gruppo rock già affermato nella scena musicale romana, adempiono perfettamente questa missione. Lo fanno miscelando testi tutt’altro che scontati e semplicistici a musica grintosa, in grado di coinvolgere e rapire il pubblico di ascoltatori.

Laddove il post-punk traspare in riferimento ai CCCP, non manca l’originalità di testi, scritti dal cantante-compositore Matteo Chiocchi, che raccontano storie difficili, dure, dando voce e spessore a temi d’attualità.

‘Come fai a cambiar pelle’ è l’ultimo lavoro dei Carnot. Diverso dai precedenti album, risulta più maturo e ben costruito, raccogliendo all’interno undici tracce mai scontate.

Si sente viva la chitarra di Giulio Ceresani, scandita dal ritmo incalzante di Enrico Strina alla batteria, e dal basso di Alessandro Cinardi.

Matteo Chiocchi, con la sua voce graffiante e la sua personalità istrionica, canta storie autentiche, toccando tematiche attuali, con estrema sensibilità.

La seconda traccia del disco ad esempio, ‘A.S.C.’, sigla che sta per ‘A Stefano Cucchi’, è dedicata appunto alla triste vicenda di Stefano, ragazzo morto in seguito ad atroci violenze e sevizie subite in una delle carceri italiane, vicenda ancora da chiarire.

Altri brani non abbandonano lo stesso ritmo sostenuto, procedendo verso atmosfere hard-rock e sonorità tipiche dei gloriosi anni ’70.

Abbiamo chiesto direttamente a Matteo di raccontarci, con le sue parole, la loro esperienza musicale.

– Com’è nato il progetto ‘Carnot’ e come mai avete scelto di chiamarvi proprio così?

La data di partenza arbitraria è il 2005. Cinque persone, inconsapevoli l’una dell’altra, suonavano in progetti musicali differenti. L’amicizia e la conoscenza che legava alcuni di noi è stato il tramite grazie al quale ci siamo incontrati. Abbiamo scelto il nome ‘Carnot’ in onore del fisico francese omonimo: Nicolas Leonard Sadi Carnot. In quel periodo eravamo alla ricerca di un nome per la band, che agli inizi aveva ancora il ‘moniker’ provvisorio di ‘Prisma’, la cover band 70’s in cui militavo con Enrico Strina. Dopo esser passati per altri due nomignoli, uno dei quali era ‘EmEf’, alla fine scelsi il nome dell’unico fisico i cui teoremi, quando frequentavo il liceo, mi erano rimasti meno oscuri e indecifrabili. La formazione inizialmente era di cinque elementi, poi per differenza di vedute e sposando anche l’esigenza di un suono più ruvido e diretto, nel 210 siamo diventati un quartetto. Dopo tre demo ed una buona attività live di supporto, c’era l’esigenza di concentrarsi per scrivere del materiale che ci rappresentasse maggiormente.

– I vostri testi danno voce a storie di vita vissuta, al desiderio di verità, talvolta usando un linguaggio molto diretto e incisivo. Pensi che la musica, al giorno d’oggi, sia ancora in grado di trasmettere un messaggio edificante?

La musica è una forma di passione. Indipendentemente da quel che tu voglia metterci dentro, ogni canzone ed ogni movimento sonoro va a toccare personalmente ognuno di noi. È chiaro che la passione e le sensazioni che un disco suscita sono le più disparate. Personalmente, ritengo che la musica abbia ancora un valore edificante. Vi sono tantissimi artisti che riescono a toccare le corde più intime di colore che si soffermano ad ascoltarli, e a costituire ancora un modello per molti ragazzi. Tematiche come la mancanza di lavoro, la droga e le ingiustizie sociali hanno ancora moltissime voci che si soffermano a cantarli per far riflettere le persone. Sarebbe terribile se così non fosse. Non ci attribuiamo questo merito, ma a modo nostro proviamo anche noi a dar voce alle storie di sbandati, di sfortune e di vendette. Quando componiamo, inseriamo ciò che ci caratterizza in quel particolare momento: una giornata storta, un sorriso, la rabbia sociale, amori sbagliati e amori felici, feste, pensieri, protagonisti e comparse delle nostre vite.

– Parlaci del vostro ultimo lavoro: ‘Come fai a cambiar pelle’.

È stata una gestazione più lunga del previsto, ma finalmente lo abbiamo terminato. Siamo molto felici perché è omogeneo, ma allo stesso tempo ogni brano si compie in se stesso. È pervaso dalle atmosfere giuste. Le chitarre sono moleste e incorporano la sessione ritmica proprio come volevamo. Registrate in diverse linee, costituiscono un tappeto sonoro compatto come piace a noi. Basso e batteria hanno il suono giusto, sospeso tra il low-fi e un certo gusto britannico tipico dei 70’s. Vi sono elementi di rock classico, c’è un pizzico di bleus, un’anima stoner e qualche trama alternative. ‘Come fai a cambiar pelle’ per noi è una domanda che si presta a diverse letture. Ce la ponemmo da soli quando cambiammo formazione perché non sapevamo ancora se saremmo stati in grado di evolverci e di mutare le nostre asciutte sonorità iniziali. È una domanda che abbiamo posto anche alle persone che, nelle nostre vite, han mutato con noi il loro atteggiamento, rivelandosi diverse rispetto a quel che avevamo sempre pensato ed abbiamo inserito le risposte che ci siamo dati e che ci hanno dato nei testi dell’album.

– Qualora vi fosse, qual è il modello musicale a cui vi riferite maggiormente, sia esso un genere o un compositore specifico?

Amiamo moltissimo il rock classico degli anni ’70 e ’90, statunitense e britannico. Ma siamo anche cresciuti con MTV ed i suoni grunge degli anni ’90. Dovendo parlare di influenze, credo che le band che maggiormente abbiamo ascoltato siano i Black Sabbath, i Led Zeppelin, i Blue Oyster Cult, i Sonic Youth, per quel che riguarda gli stranieri. Mentre tra i nostri modelli italiani, vi sono i CSI, i Litfiba ed i Marlene Kuntz.

– Parlando invece della scena live, come la vivete ed in quale modo vi ponete al pubblico?

Per noi il live è la componente più importante. Ci permette di suonare le nostre canzoni fuori dalla nostra sala prove e di farci conoscere, ascoltando le critiche, i consigli e per fortuna anche parecchi complimenti. Suonare dal vivo è il vero motivo per il quale suoniamo. Ci carica di energia positiva ed ogni volta è un grande piacere poter regalare alla gente il nostro sudore e le nostre canzoni.

– Quali sono i vostri progetti futuri? State organizzando un tour per promuovere il disco, o altro?

Abbiamo da poco registrato un videoclip, sotto la direzione di Emiliano Canevari, e ci siamo divertiti moltissimo. Lo promuoveremo insieme al disco e non escludo che in un prossimo futuro si possa ripetere l’esperienza. Stiamo lavorando a del nuovo materiale per un secondo album, e credo che memori delle lezioni imparate nella stesura di ‘Come fai a cambiar pelle’, riusciremo ad essere più veloci nella registrazione. Inoltre, promuoveremo l’uscita del disco con alcune serate qui a Roma, nei mesi di Aprile e Maggio. Proveremo anche a supportare il materiale con alcune date in giro per il centro Italia nel periodo estivo.

‘Come fai a cambiar pelle’ è un disco veloce, di forte impatto. Un disco che spinge a non abbassare mai la guardia dinnanzi alle circostanze negative che si presentano. Un disco che, noi di ‘The Freak’ consigliamo agli appassionati del rock puro e travolgente.

Di Cristina Comparato

Fan page Carnot

Sito internet Carnot

Di seguito i videoclip di Il mio sogno migliore e Il canto delle sirene:


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