Capezzone: “Cosa
manca alla destra?”

Capezzone: "Ecco cosa manca
alla destra di oggi"

Intervista a Daniele Capezzone, giornalista e autore del libro "Per una nuova destra":
"Le primarie modello Usa sarebbero la strada maestra per incardinare un dibattito ideale"

di Flaminia Camilletti

Capezzone: “Cosa
manca alla destra?”

Capezzone: "Ecco cosa manca
alla destra di oggi"

Capezzone: "Ecco cosa manca
alla destra di oggi"

di Flaminia Camilletti
Capezzone

Capezzone: “Cosa
manca alla destra?”

Capezzone: "Ecco cosa manca
alla destra di oggi"

Intervista a Daniele Capezzone, giornalista e autore del libro "Per una nuova destra":
"Le primarie modello Usa sarebbero la strada maestra per incardinare un dibattito ideale"

di Flaminia Camilletti

“Nella destra di oggi vedo incapacità di rappresentare il settore privato, nel fare vere campagne antitasse, nel far capire che quella per uno choc fiscale è la madre di tutte le battaglie”. Daniele Capezzone dialoga con noi sui punti più salienti del suo ultimo libro edito da Piemme “Per una nuova destra”. Fondatore del centro studi Mercatus, scrive per il quotidiano La Verità (per cui cura anche la rassegna online #LaVeritaAlleSette) e per il periodico online Atlantico.

In tv appare come commentatore politico nei programmi delle reti Mediaset. È una delle voci di Radio Globo. Atlantista, liberale classico, detesta il politicamente corretto. Tra le sue pubblicazioni anche “Likecrazia – Lo show della politica in tempo di pace e di Coronavirus”, edito sempre da Piemme. 

In Italia la sinistra discute molto di come dovrebbe essere la destra. Manca però un vero dibattito tra i suoi leader Salvini Meloni e Berlusconi. Con il suo libro vuole tracciare la via di una nuova destra?

“La destra ha due strade dopo gli ultimi pessimi risultati elettorali. La prima è fare come la sinistra negli anni passati: interminabili e cacofoniche risse condominiali per attribuirsi reciprocamente le colpe. La seconda è concedersi un lusso che manca da troppo tempo: un dibattito di fondo sulle idee, su dove andare, sui punti di riferimento ideali, su quali elettori puntare a rappresentare. Il mio libro vorrebbe incoraggiare la destra verso questa seconda direzione. Missione forse impossibile…”.

L’ideologia woke sembra essere al centro del dibattito americano, in qualche modo lo è già anche qui. La nuova destra deve diventare reazionaria per combattere questo progressismo? 

“Per carità, assolutamente no. Il faro deve essere quello della libertà, non del suo inverso, come antidoto al ‘dirittismo’. Non si tratta di chiudersi in un recinto (o in un ghetto) identitario e tradizionalista, ma di rivendicare l’ampliamento della libertà in ogni ambito come alternativa a chi invece vorrebbe codificare tutto, regolamentare tutto, stilare cataloghi di comportamenti ammessi o respinti. La sinistra pensa che ‘non regolato’ significhi ‘illegale’: la destra dovrebbe rispondere spiegando che ‘non regolato’ vuol dire semplicemente ‘libero’. Lo stato, la legge, la regolamentazione, facciano passi indietro, anziché pretendere di occupare altro spazio”. 

I francesi, a proposito del woke, stanno reagendo: il ministro dell’istruzione francese Jean-Michel Blanquer ha detto che l’ideologia woke mina la democrazia e la repubblica. La reazione la troviamo nel fenomeno Zemmour. E qui pensiamo solo al covid?

“Zemmour (che ovviamente non è la mia tazza di tè: io scommetto sulla libertà e su riferimenti anglosassoni) è tuttavia interessante per un’altra ragione. Essendo più colto e più furbo dei tradizionali leader di destra del suo paese, rischia di metterli fuori gioco. Ci riflettano, lì e anche qui…”.

Nel suo libro mette al centro il tema del fisco. È in arrivo un’ondata di tasse green, essere contro le tasse vorrà dire essere dalla parte del torto? Nella dicotomia tra bene e male la strada sembra essere tracciata. I buoni sono gli estremisti green, i cattivi tutti gli altri.

“È così. I nuovi tassatori cercano di darsi una dimensione “etica” per imporsi e per colpevolizzare ogni resistenza. Ma tutto ciò determinerà solo transizione verso la povertà, altro che transizione ecologica. Se il conto lo presenti ai proprietari di appartamenti da riscaldare e ai possessori di auto, stai solo massacrando un ceto medio già in difficoltà”.

“Per una nuova destra” invita alla riflessione sul tema delle vere primarie. Non finte come quelle che fa il Pd, ma serie come quelle americane. A destra tutti ne parlano ma poi nessuno le fa, hanno paura di battersi sui temi?

“Le primarie modello Usa sarebbero la strada maestra per incardinare un dibattito ideale, per dare ingresso a nuove energie, per coinvolgere i territori, e anche per avviare la campagna elettorale con quattro mesi di anticipo rispetto agli avversari. Se invece la destra resta prigioniera dello status quo e delle trattative in stanze chiuse, a mio avviso commette un errore fatale”. 

Nello scacchiere geopolitico, per semplificare, a sinistra Francia e Cina e a destra Usa e Russia. Con chi deve stare la nuova destra?

“Non descriverei le cose così. La Russia, che pure non va ovviamente spinta tra le braccia della Cina, non è certo un paese modello a cui guardare, a mio avviso. Noi dobbiamo stare saldamente nel campo occidentale, oggi attraversato da mille fragilità. E difendere un esperimento (democrazia politica più mercato) che è ancora complessivamente molto giovane nella storia dell’umanità. Quindi i riferimenti naturali stanno tra Londra e Washington”. 

Guardando ai partiti, in Europa si va in ordine sparso. PPE per Forza Italia, la Lega litiga su dove posizionarsi tra l’ala governista di Giorgetti e quella sovranista di Salvini. Meloni fedele ai conservatori. Come si fa a formare una vera coalizione così? È tutto nella norma?

Non sono per nulla appassionato al tema della collocazione in gruppi europei che non mi sembrano animati da chissà quale dibattito ideale. Sono grupponi messi in piedi essenzialmente per esigenze organizzative a Bruxelles. Il centrodestra non perda tempo a litigare su questo. 

L’8 novembre scorso, il Corriere della sera pubblicava una mappa interessante dell’elettorato. Anche se credo che ogni sondaggio vada preso con le pinze, ho trovato interessante il fatto che Fdi sembra affermarsi più al nord di quanto non facesse in passato risultando apprezzato soprattutto tra i liberi professionisti. Nonostante le loro posizioni storiche più sociali, possono candidarsi a diventare il nuovo partito rappresentativo di ceti medi e produttivi liberali? 

L’opposizione ha certamente giovato a Fdi, in questo senso. Ma vedo ancora (pensi alla campagna elettorale a Roma) troppe incertezze nel rappresentare adeguatamente il mondo produttivo, la parte dinamica del paese. Fdi e Lega devono lavorare su questo, a mio avviso. Se in una campagna elettorale decisiva (torno al caso di Roma) ci si è attardati a difendere lo status quo delle municipalizzate pubbliche, vuol dire che molti non hanno compreso bene cosa desiderano tanti elettori. Elettori che si rivelano più lungimiranti di alcuni dirigenti politici. 

La Lega è in crisi di identità. Alla lunga vincerà la linea di Salvini o quella di Giorgetti?

“Non mi pare che ci siano due linee. Vedo invece (per la Lega, per Fdi e per Fi) un problema più profondo nella capacità di rappresentare il settore privato, nel fare vere campagne antitasse, nel far capire che quella per uno choc fiscale è la madre di tutte le battaglie”.  

Forza Italia dopo il Quirinale che fine farà? Sembra rimanere in piedi solo per portare il suo leader alla Presidenza della Repubblica. 

“Sarebbe un errore drammatico se, nel dopo-Quirinale, Fi puntasse sul proporzionale, sulla disarticolazione del centrodestra e su illusioni centriste. Silvio Berlusconi è stato nel 1994 il papà del centrodestra: sarebbe paradossale se nel 2022 si facesse indurre da qualcuno a scompaginarlo”.

Si definisce libertario e liberista. Lo Stato, per i thatcheriani di ferro, a cosa serve? Non pensa che alcuni asset debbano essere patrimonio della collettività? Penso a scuola, sanità, infrastrutture. 

“Più stato vuol dire più gestione pubblica e politica, più intermediazione politica del denaro dei contribuenti. La cosa non mi convince. Penso che l’allargamento degli spazi di competizione e di mercato giovi a tutti: anzi, in questo momento storico, gioverebbe soprattutto ai ‘many’, non ai ‘few’. Oggi chi vuole lo status quo vota Biden (e in Italia Pd). Invece gli outsider, i non protetti, i forgotten men cercano una destra che li rappresenti, e offra meno tasse, meno burocrazia, meno pianificazione accentrata, più opportunità”. 

Come arriverà la destra alle prossime politiche? Basterà prendere la maggioranza dei voti per governare?

“Il senso del libro è che non basterà. Occorre un lavoro di fondo, culturale e istituzionale. Per non farsi incaprettare da deep state, mandarini di stato e mainstream media. Avere molti voti è eccellente, ma non basta”.

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