Il silenzio biblico cantato da Dioniso

di Aretina Bellizzi

Il silenzio biblico cantato da Dioniso

di Aretina Bellizzi

Il silenzio biblico cantato da Dioniso

di Aretina Bellizzi

Il Cantico dei Cantici di Fortebraccio Teatro

Sacra come la Bibbia, conturbante come l’epifania di Dioniso: una voce, come l’ombra di un disturbata divinità quando, nell’ora della canicola, ricorda ai mortali con la presenza la sua assenza. Una voce riempie il teatro e i pensieri dello spettatore, come un’onda lo travolge e lo sconvolge.

Dopo Every me and every you dei Placebo, qualcuno che non è uomo e non è donna, che non è vicino e non è lontano, che non è nessuno ed è tutti noi comincia potente: “Guardami”. E non c’è nulla da guardare, c’è piuttosto da ascoltare in religioso silenzio. È l’inizio del Cantico dei Cantici uno dei passi più belli e più discussi della Bibbia.

Roberto Latini dà corpo e soprattutto voce a un testo poetico ed evocativo, mistico e sensuale. Lo tinge di assoluto e di contingente, come a volerlo strappare all’eterno,  come a volerlo rendere nostro e presente lo carica di simboli, di memorie cinematografiche e sonore. E così mescola “a far l’amore comincia tu”,nella versione di Bob Sinclair che inevitabilmente ci riporta alla terrazza della festa della scena iniziale de La grande bellezza, con le note indimenticabili di C’era una volta in America.

E sentiamo Deborah che legge il Cantico e conclude con amarezza e voluttà “che peccato”. Il testo diventa dunque quello di un’epopea dei giorni nostri fatto di carne e di etereo. Come fossimo gli ascoltatori di una radio sentiamo vibrare la forza di quelle parole dentro di noi, le sentiamo penetrare ogni fibra.

Cantico dei cantici

E potremmo tenere gli occhi chiusi e godere ugualmente lo spettacolo perché Latini è così bravo a condurci dentro le immagini e le atmosfere del Cantico che non abbiamo bisogno degli occhi per essere guidati. Sono le parole e i silenzi che queste sono capaci di produrre a indicarci la strada. All’inizio le ascoltiamo, poi le riconosciamo e infine le sentiamo nostre. Prima sono solo esercizi di stile alla ricerca del ritmo giusto, del momento adatto al disvelamento al quale arriviamo per gradi e per errori. Siamo poi finalmente pronti a scoprire il travestimento e l’inganno, a vedere l’attore senza maschera, a sentire la voce che diventa fragile e forte insieme.

La miseria dell’umano ora non teme di incontrare la potenza del divino, di percepirla nella sua essenza, di esserne travolta. Vinti ed esanimi si finisce per riconoscere che “forte come la morte è l’amore.” E allora che l’androgino che abbiamo di fronte, come fosse una creatura uscita dalle pagine del Simposio platonico, ci parla dalla distanza del mito e delle favole antiche. Le sue parole sembrano provenire da un’altro luogo e da un altro tempo, quello dell’eterno, eppure si fanno carne e sangue, impastata di vita e di morte. E sei in Paradiso e ti senti bruciare all’inferno. Inevitabilmente coinvolto in un amplesso di musica e parole vuoi che continui per sempre e vuoi che finisca in quello stesso istante per sentirti finalmente libero da quel demone che da dentro vuole uscire e morire ogni sera su un palcoscenico diverso.

Il Cantico dei cantici portato in scena dalla compagnia Fortebraccio è il teatro che prova ad andare oltre se stesso, oltre lo spettacolo, per diventare atmosfera rarefatta e pregna di echi lontani. Quando finisce senti ancora rimbombare ossessivamente nelle orecchie quel “che peccato” ripetuto fino allo sfinimento, fino al turbamento.

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Una risposta

  1. i tre minuti di commento sono così densi di spunti e particolari che ti fanno sentire spettatore coinvolto e partecipe delle emozioni della rappresentazione teatrale senza conoscerne il testo e senza aver visto lo spettacolo. La bravura del critico d’arte non consiste solo nel saper cogliere l’essenza del “pezzo” quanto quello di trasmetterlo al lettore e suscitare pulsazioni emotive. E’ quello che provoca Aretina Bellizzi
    con la sua arte di scrivere e narrare quello che vede e sente ai lettori.

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