C’ eravamo tanto odiati: i promessi (o compromessi) sposi

di Leonardo Naccarelli

C’ eravamo tanto odiati: i promessi (o compromessi) sposi

di Leonardo Naccarelli
Conte bis

C’ eravamo tanto odiati: i promessi (o compromessi) sposi

di Leonardo Naccarelli

Giorgio Gaber una volta disse che comprendere una crisi non significa affatto risolverla. Condivido
ma, senza dubbio, capire o intuire sarebbe un buon punto di partenza: quasi quarant’anni dopo
nemmeno questo siamo in grado di fare. I fatti, le opinioni, le posizioni si avvicendano in modo così
incoerente e frenetico che ne può derivare solo grande confusione. Nel gestire la crisi politica più
estiva di sempre, la politica italiana, infatti, sta offrendo uno spettacolo a dir poco aberrante.
Nessuno sembra mantenere livelli accettabili di lucidità politica e, ancor più grave, nessuno sembra
sapere come fare. Se non ci fosse in gioco il destino di un’intera nazione sarebbe quasi comico. Il
presidente della Repubblica è sempre più disperato: non sa in che altro modo esternare la sua
inesauribile irritazione; ha conferito a Giuseppe Conte un mandato affinché si formasse un nuovo
governo sostenuto da M5S, PD e LEU, sperando che si facesse presto.
Tuttavia, il progetto si è arenato con le parole di Di Maio, pronunciate il 30 Agosto scorso, e stenta a ripartire. “Sì ai
nostri punti o si va alle urne” avrebbe detto il capo politico dei Grillini. Sono parole, a mio avviso,
di un’irresponsabilità inaudita. Non si può pensare di far nascere un governo di coalizione
invocando per sé il monopolio del programma di governo. Tanti indizi portano ad affermare che Di
Maio in realtà non voglia che il progetto “ Conte bis” vada in porto. Innanzitutto Di Maio nasce politicamente come un liberale di destra e vede come fumo negli occhi un’ alleanza con
la sinistra. Inoltre, Di Maio non è entusiasta della crescente popolarità di Giuseppe Conte, vedendo la
sua leadership nel Movimento a rischio. Qualcuno gli dica che, più che la figura di Conte, dovrebbe
temere il crollo dei consensi nell’ultimo anno e mezzo.
Ma una via di uscita per il Movimento c’è: la votazione sulla piattaforma Rousseau da parte degli
iscritti. Rousseau è lo strumento grillino di democrazia diretta con cui gli elettori interagiscono con
gli eletti, l’anima del Movimento cinque stelle. Circa il suo utilizzo possono individuarsi varie
criticità. Prima di tutto c’è un problema temporale: la consultazione si svolgerebbe dopo il
conferimento dell’incarico da parte del Presidente della Repubblica, con conseguente violazione di
qualsiasi prassi e normativa costituzionale. In secondo luogo, siamo proprio sicuri che sia giusto che
una decisione di importanza nazionale sia presa da poco più di 100.000 persone su una piattaforma
di proprietà privata? Si può ignorare che la piattaforma Rousseau non offra alcuna garanzia di
regolarità del voto? Per ultimo, l’eventuale bocciatura degli elettori Grillini comporterebbe, a rigore,
le dimissioni di tutto il gruppo dirigente e le elezioni anticipate: con che stato d’animo ed in che
condizione politica il Movimento si presenterebbe alle urne? Vi è anche da dire che la bocciatura sembra
uno scenario molto remoto; difficilmente gli iscritti si discosteranno dalla linea tracciata dal padre
fondatore Beppe Grillo, fondamentale, quindi, sarà la formulazione del quesito ed il lavoro di propaganda
dei giorni precedenti la consultazione: Davide Casaleggio è già al lavoro.
Ora è doveroso parlare dell’altra parte in causa in questo nascituro governo: il Partito
Democratico. Il suo segretario, Nicola Zingaretti, si trova in una situazione molto strana. Non
voleva il governo e, in ogni caso, non voleva Giuseppe Conte come Presidente del Consiglio. Molto probabilmente
nessuna delle due condizioni si avvererà. Ha riunito il composito PD dopo anni di divisioni ma a prezzo di rivitalizzare il suo più acerrimo nemico interno, Matteo Renzi. La battaglia adesso è sul fronte vicepremier:
non può accettare che tale carica sia attribuita a Di Maio.
Ma sarebbe sbagliato giudicare, ora, l’operato di Zingaretti. Elemento decisivo sarà la durata e
l’operatività del governo. Solo un esecutivo forte e duraturo potrà convincere gli italiani che il
Conte bis non è solo un’operazione di palazzo all’insegna dell’ auto-conservazione e della paura
di Salvini e del voto. Mi auguro e ci auguriamo che il Conte bis sia solo l’inizio di una più ampia operazione di alleanza nei territori per costituire un’alternativa alla destra nazionalista.


Tornando ad una prospettiva generale, a mio avviso, la parola chiave per riassumere questa possibile
alleanza giallorossa è “compromissione”. Sia il Movimento Cinque Stelle che il Partito
Democratico, in meno di un mese, hanno infatti rinnegato qualsiasi cosa abbiano sostenuto negli
ultimi mesi o anni.
Il PD ha sostenuto ripetutamente come fosse necessario costruire un modello alternativo alla destra.
Si doveva tornare nelle periferie, dando voce a quella porzione di popolazione che la sinistra aveva
trascurato negli ultimi anni. Inoltre si sosteneva come non ci sarebbero stati più gli esecutivi di
responsabilità per risanare i conti pubblici, sostenuti dal centrosinistra. Cosa resterà di queste
mirabili intenzioni quando il governo Conte bis avrà preso definitivamente forma?
Il Movimento Cinque Stelle invece si trova in grande difficoltà. Bisogna spiegare ai propri elettori
come si può governare con il Partito di Bibbiano, di Renzi, degli scandali bancari, evitando, se
possibile, il linciaggio politico. Se ce la farà, chapeau.
L’impressione è che ci si trovi davanti a quei matrimoni di convenienza dei romanzi dell’800
inglese. Lui, il PD, è un uomo di mezza età all’ultima occasione per accasarsi; lei, il M5S, ha perso
la purezza troppo presto ed è alla ricerca di un rifugio sicuro dalla pubblica disapprovazione. Ce la
faranno i nostri eroi a convolare a nozze? Non si sa, vedremo.

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