BLUE JASMINE – IL CIELO SOPRA SAN FRANCISCO È SEMPRE PIÙ BLU

di Adriano Vinti

BLUE JASMINE – IL CIELO SOPRA SAN FRANCISCO È SEMPRE PIÙ BLU

di Adriano Vinti

BLUE JASMINE – IL CIELO SOPRA SAN FRANCISCO È SEMPRE PIÙ BLU

di Adriano Vinti

Terminato il tour europeo fatto di alti e bassi tra Londra, Parigi, Barcellona e Roma (tour inframezzato dall’ottimo Whatever Works ambientato a New York), Woody Allen gira tra San Francisco (di più) e la Grande Mela (di meno) un film sostanzialmente drammatico con sprazzi di humour, tanto pessimismo e una spolverata di darwinismo sociale.

Cate Blanchett interpreta Jasmine, affascinante moglie di Hal, uomo d’affari criminale e fedifrago che, dopo una vita dorata costruita sulla truffa, la lascerà improvvisamente senza un soldo, causandole un violento esaurimento nervoso e costringendola a tornare dalla sorella Ginger (interpretata da Sally Hawkins) a San Francisco.

Trovare asilo nella famiglia d’origine potrebbe essere una soluzione efficace in un momento di crisi, se non fosse che Jasmine e Ginger sono in realtà sorellastre, entrambe figlie adottive, e infatti non solo non si somigliano ma sono proprio l’opposto l’una dell’altra: tanto è elegante, bella, formale Jasmine, quanto è sciatta, bruttina e informale Ginger, coerentemente accompagnata da fidanzato coatto (lo so, a San Francisco non si dice così, chissenefrega!) ma onesto, che Jasmine non faticherà a detestare.

Il film si snoda lungo un percorso fatto di inevitabili frizioni domestiche, tentativi di riconciliazione, crisi di nervi, flirt passeggeri, incontri casuali in grado di cambiare repentinamente il corso degli eventi. Woody Allen, insomma. E qui emerge tutto il pessimismo del regista di Coney Island: i suoi personaggi seguono copioni di vita che non sono in grado di modificare e che solo eventi fuori dal loro controllo possono mettere in discussione, può darsi che la lotteria genetica assegni qualche carta in più da giocare per godersela, ma nessuno alla fine sfugge al suo destino, complessivamente amaro. Una visione in cui però lo stesso Allen non può credere fino in fondo, se è vero che un ragazzo rachitico, basso e quattrocchi è diventato uno dei giganti della storia del cinema (e di casi in cui la volontà e la passione battono la genetica ce ne sono tanti in ogni àmbito, si pensi a Thelonious Monk o a Leo Messi).

A dirla tutta, il mondo di Ginger, in cui Jasmine è costretta a calarsi, appare a tratti un po’ troppo stereotipato. Tuttavia è evidente come l’attenzione in sede di sceneggiatura e montaggio sia stata focalizzata su Jasmine, e i lunghissimi primi piani con cui la macchina da presa indugia su di lei lo testimoniano; come la Diane Keaton di Manhattan o la Scarlett Johansson di Match Point, Cate Blanchett entra nella Hall Of Fame della grandi muse di Woody Allen e in quella delle interpretazioni che non si dimenticano, nel quadro di un film che brilla per qualità dei dialoghi e ritmo.

Perciò se qualcuno un po’ frettolosamente aveva sentenziato l’inizio del suo declino, dopo aver visto Blue Jasmine non potrà non ricredersi: Woody Allen è vivo e si sente ancora molto bene.

Di Adriano Vinti

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