Autocommiserazione di un pagliaccio

di Simone Bonfiglio – SimBo

Autocommiserazione di un pagliaccio

di Simone Bonfiglio – SimBo

Autocommiserazione di un pagliaccio

di Simone Bonfiglio – SimBo

Cercavo un’immagine che trasformasse in qualcosa di visibile, ciò che sentivo dentro da quando sei andata via. Casualmente ci sono riuscito accendendo un cerino. L’ho scritto su mille fogliettini ed ho tappezzato casa.

“Un fiammifero acceso … già spento. Così come la mia vita, spenta dall’aria della porta che ti sei lasciata chiusa alle spalle.”

Mi servirà per il futuro ma anche per il presente, in cui capirò che se tiri la corda, poi la corda si spezza. Me lo dicevi sempre tu, ma io mica ci facevo caso. Non potevo rinunciare alle mie scappatelle, avevo detto di amarti, ed era anche vero, ma lo facevo a modo mio. La carne è carne e ti chiede qualche distrazione all’abitudine dell’amore. Ho sempre pensato che tra le due cose ci sia una linea sottile, è come mangiare, ma mangiare sempre la stessa cosa. Ad un tratto il corpo ti chiede qualcos’altro.

Quando la sera tornavo a letto credevo di averti fregata, ma ora penso che tu stessi lì a far finta di dormire, girata su di un lato, opposto al mio. Io rimanevo immobile, bloccato, perché i sensi di colpa non mi facevano chiudere occhio, tu immagino invece che piangessi piano, prendessi mazzate dentro, resistessi e resistessi. Ma non si può resistere per sempre.

Come ogni storia, anche la nostra, era nata un po’ per caso ma pian piano ci siamo avvicinati sempre di più ed è sbocciato qualcosa di forte, non l’ho mai negato questo. Poi nel momento più sbagliato, ogni volta, dentro me riemerge un mostro che mi trasforma e mi peggiora. Ed è in quell’esatto momento che mi vengono in mente puntuali le parole di Jim Morrison, che diceva: “Penso a me stesso come un essere intelligente e sensibile, ma con l’anima di un pagliaccio che mi costringe a distruggere tutto nel momento più importante”.

Ero anche io un pagliaccio, pronto a spaccare tutto per andare a consolare delle amiche di letto, per sentire i loro sfoghi e le loro nenie disperate sulle loro storie che andavano a singhiozzo tra alti e bassi. Piuttosto che recuperare la mia, preferivo fare lo psicologo da strapazzo a qualcun’ altra. Chi avrebbe dovuto riprendere la nostra? Tu per un po’ ci hai anche provato, ma che senso ha volere una cosa se l’altro se ne frega? Il fatto più strano è che non senti la mancanza di qualcosa, finché quel qualcosa lo perdi e non lo ritroverai mai più.

Quando mi facevi le ramanzine e sospettavi, io dicevo tra me e me che era solo questione di minuti e tutto sarebbe passato. Ero bravo a farmi perdonare. Non si possono accumulare troppi errori, diventano un muro troppo grande da scalare o da abbattere e poi si rimane divisi per sempre. Esattamene quello che è successo a noi due. Quasi quattro anni mandati all’aria per cose di cui si può far benissimo a meno.

Ho disseminato per casa quei fogli proprio per tenerlo bene a mente, per sbattermi la testa sulle pareti e dirmi: “Sei proprio un coglione!”. Tutti i giorni me ne sto a pensare, scrivere e bere con la musica a riempire quel vuoto che attraversa questo appartamento.

Oggi è il nostro anniversario e sono andato alla pasticceria che ti piaceva tanto, ho preso la torta che amavi ed ho comprato una candelina col numero 4. Si, oggi sarebbero stati 4 anni da quel giorno in cui mi hai baciato e ti sei subito voltata, arrossita. Ho provato anche a mandarti un sms, chissà se l’hai letto, non credo e ti capisco pure. Non era il caso di inviartelo ma non ce l’ho fatta a trattenermi. A volte è tardi per chiedere scusa, altre volte semplicemente può non bastare.

Sto correndo con la mente, flashback mi abbagliano, sono pezzi del puzzle che avevamo costruito insieme e che cadendomi dalle mani si è sparso in mille pezzi sul pavimento.

 Non riesco più a montarlo, mancano troppe parti, mi vedo abbracciato ad altre, tutto sta andando a puttane e l’ho voluto solo ed esclusivamente io.

La sera in cui te ne sei andata, stavo correndo, ero in ritardo per cena, alle prese con l’ennesima scappatella. Il traffico, la fila suonando il clacson e poi arrivato a casa la tavola apparecchiata, la pasta fredda e un biglietto lasciato attaccato al frigo, alla calamita della Tour Eiffel comprata a Parigi per il nostro viaggio durante il nostro primo anniversario.

“Sai, ho sempre saputo che a modo tuo, tu mi hai amato. Ho accettato cose che forse nessun’altra avrebbe mai sopportato. Ho aspettato che cambiassi, ci ho creduto fino adesso, ho atteso qui a tavola fino all’ultimo momento sperando che qualcosa si aggiustasse. Ci ho voluto credere anche se sapevo che era solo un continuarmi inutilmente ad illudere. Non voglio concludere dicendoti di non amarti o di odiarti, assolutamente no. Ti amo ancora adesso ma ho capito col tempo che prima di amare, bisogna imparare ad amare se stessi, ed io finora non l’ho fatto. Comincio oggi e credo di non voler smettere più. Che la vita ti sorrida, come tu hai fatto sorridere me. Addio”

Quanta verità in queste poche righe che mi hai scritto, senza mai dimostrarmi rancore, seppur io ne meriti fin troppo. Sono poche le persone come te che non sanno odiare, forse sono le migliori, perché non sporcheranno mai la loro anima e rimarranno sempre pure, semplici e immensamente belle.

Me ne sto qui a pensarlo, e risuonano le note di “Anima Fragile” di Vasco, per finire di distruggere me stesso fin dentro, fino a polverizzarmi le ossa. Ti ho lasciato l’ultima fetta di torta, la metto in frigo nell’eterna illusione che tu possa tornare. Tutto si sta facendo più duro, l’ora di prendersi le proprie responsabilità è arrivato ed io che non ne ero abituato, non so come comportarmi.

Penso e ripenso alle cazzate che mi sono costate tutto questo e mi sento sempre più sprofondare in un baratro da cui non ne verrò presto o mai fuori. Sto riconsiderando tutto e la cosa su cui più di tutte rifletto è che se prima ero fermamente convinto che perdonare è impossibile, adesso ho rivisto questo concetto.

Perdonare non è certo facile, ma perdonarsi è la parte più dura del viaggio che è questa nostra vita. Non c’è giudice più duro, di un essere umano rimasto solo, che si metta a nudo. L’ho capito, l’ho fissato nella mia mente col fuoco della delusione che mi sta bruciando senza tregua.

Ma non c’è più tempo, il tempo me lo sono giocato, ed un giocatore sa che, tirando a sorte, a volte la fortuna ti bacia ed altre fugge via senza darti il tempo per rincorrerla.

Questa è una dura lezione da imparare a memoria se ci si vuole salvare. Ed io, non l’ho fatto quando sarebbe potuto servire a qualcosa. Le cose belle della vita hanno scadenza breve se non le sai tenere per come meritano. La gente come me è quella del “E’ tutto finito, peccato”, dell’amarezza in bocca, dei rimorsi e di tutti i difetti messi assieme.

Osservo le auto sfrecciare giù in strada, sono le mie occasioni di smetterla, passate una dietro l’altra e mai sapute cogliere. Guardo la luna e la vedo brillare, questo significa che tu finalmente sei tornata a sorridere.

Chissà a chi, chissà dove …

di Simone Bonfiglio, all rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati