“Aspettando Godot” ovvero la speranza che diventa illusione

di Ludovica Tripodi

“Aspettando Godot” ovvero la speranza che diventa illusione

di Ludovica Tripodi

“Aspettando Godot” ovvero la speranza che diventa illusione

di Ludovica Tripodi

Jean Anouilh, drammaturgo francesce, ha definito En attendant Godot (Aspettando Godot), la celebre opera di Samuel Beckett composta tra la fine del 1948 e l’inizio del 1950, “un capolavoro che provocherà disperazione negli uomini in generale e in quelli di teatro in particolare”.

Beckett, infatti, scrive “Aspettando Godot” dopo la fine del secondo conflitto mondiale, dopo il mortale scoppio della bomba atomica in Giappone, quando il mondo intero era sconvolto e confuso. Quando tutti aspettavano, invano, Dio, il destino o la Morte.

Estragone/Gogo e Vladimiro/Didi siamo noi. Siamo noi insoddisfatti, rassegnati e immersi in un vuoto che non ci lascia scampo e che alla domanda retorica “Shall we go?” (“Forse dovremmo andare”) non troviamo mai risposta. Perché?  Perché siamo in attesa di Godot, di Dio, del destino, della morte.

Ma Godot non arriverà e Didi e Gogo lo sanno bene. I giorni passano tutti uguali, luci e tenebre si susseguono inarrestabili, gesti futili e pensieri suicidi riempiono le loro giornate piene di insensatezza. Persino il loro salice piangente, unico elemento scenografico, è senza foglie e non piange più (solo nel secondo atto, nella speranza di veder apparire Godot, ecco qualche foglia). Ma Didi e Gogo aspettano ugualmente. Aspettano perché solo aspettando la loro vita acquista senso e ragione.

Ma ecco arrivare Pozzo (Edoardo Siravo), messo in scena dal regista Maurizio Scaparro, come il Mangiafuoco collodiano, con al guinzaglio il suo burattino, Lucky (Enrico Bonavera), il cui monologo-flusso di coscienza ha lasciato la platea del teatro Ghione senza parole. Il loro passaggio porterà solo un guizzo vitale di inaspettato e passeggero entusiasmo nelle ormai scontate vite di Didi (Luciano Virgilio) e Gogo (Antonio Salines).

Secondo atto. Pozzo e Lucky usciti di scena. Un salice non più totalmente spoglio. Un nuovo giorno. Il solito ritornello: “Che facciamo adesso? Aspettiamo Godot”.

Ma l’alba del giorno dopo non porterà buone notizie, solo un Pozzo cieco e un Lucky muto e un Godot che non si presenterà neanche questa volta. Il vecchio con i capelli bianchi, descritto così dal suo messo, rimanda l’appuntamento, ancora e ancora, al giorno seguente. Didi e Gogo si intristiscono, vane le speranze e vane le parole. I volti tristi e disillusi e un sipario che si chiude. Un finale aperto, che lascia sgomenti di fronte alle vacuità della vita e alla speranza trasformata in mera illusione.

Chi è Godot? Non sforziamoci di capirlo, lo stesso Beckett a questa domanda rispose che se lo avesse saputo lo avrebbe indicato sicuramente nel dramma.

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