Da Borsellino
a Voghera

Anagrafica di un Paese:
da Borsellino a Voghera

Come gli insegnamenti ai "posteri" di Paolo Borsellino
tornano nel presente con sfarzosità e nuova vivacità

di Pietro Maria Sabella

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Borsellino

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Come gli insegnamenti ai "posteri" di Paolo Borsellino
tornano nel presente con sfarzosità e nuova vivacità

di Pietro Maria Sabella

Ieri sera, quasi per sbaglio, in una calda serata di mezza estate e dopo una cena in buona compagnia, mi sono imbattuto in un noto lungometraggio su Paolo Borsellino in onda in televisione. Dopo i primi minuti, avevo quasi voglia di cambiare canale. La solennità della memoria, la pesantezza dei fatti, non erano particolarmente adatti a questa serata, giunta dopo una giornata piena, torrida, con tante scadenze ancora da rispettare in vista del giorno a venire. Insomma, dopo una giornata claustrofobica, che chiedeva solo un rasserenamento.

Eppure, quasi inconsciamente, percepivo che quelle immagini suggerivano al mio spirito un ripensamento, la necessità di proseguire fino ai momenti di via D’Amelio del 19 luglio 1992. Ogni fotogramma era noto, condensato negli organi, come fossero cellule di ogni mio organismo, parte di me in qualche modo. Tuttavia, cosa sicuramente particolare per la mia persona, sentivo che le percezioni non riflettevano più unicamente una dimensione della memoria, una sventurata stagione di mafia, stragi e interconnessioni fra poteri oscuri in Sicilia e nell’intero Paese. 

Paolo Borsellino, o meglio, alcuni insegnamenti restituiti ai “posteri”, tornavano nel presente con sfarzosità e nuova vivacità. Complice il silenzio della stanza, la mente un po’ distaccata involontariamente dalla trama, mi rendevo conto della particolarità di quei messaggi  – seppur rivisti da un’abile sceneggiatura che ne ha solennizzato qualche momento  – e degli effetti delle riflessioni maturate negli ultimi momenti della sua esistenza. 

In fondo, Paolo Borsellino (ma non solo lui) ha sempre cercato di promuovere ed applicare alcuni principi fondamentali, alcune regole di base, che ogni cittadino – che tale si voglia dire – dovrebbe in qualche modo far proprie. E al di là di ogni mobile e ingannevole interpretazione demagogica, si è sempre e solo trattato di capire che da quella storia di dolore bisognava trarne insegnamento di coraggio, libertà e impegno. Ma non un coraggio battagliero, da personaggio dei cartoni o dei film americani, ma un coraggio solido e parsimonioso, fatto di premure per gli altri, di attenzione per ciò che non appartiene solo alla nostra sfera individuale. Un coraggio che si mescola ad altruismo in qualche modo e che in una dimensione collettiva si tramuta definitivamente in bene.

Libertà. Una libertà da condizionamenti, da compromessi, da velleità erosive. Dunque, non una libertà assoluta, egoistica, limitata, ma anche in questo caso proiettata alla dimensione dell’altro, così da diventare educazione, rispetto, comprensione, in questa ottica, destinata a produrre del bene per tutti.

Impegno. Impegno che declina in responsabilità, in abnegazione nonostante la certezza della morte, la sensazione di disfatta. Parole che oggi sono assolutamente diventate vuote. Scavate dall’imperio delle logiche consenzialisitche e dalle alterazioni che si enfatizzano fino a diventare coni d’ombra. Valori che sembrano essere stati trasfigurati in esperienze lontane, che oggigiorno vengono descritte come di appartenenza solo di alcuni ed in determinati episodi. L’importanza delle parole, che suggeriscono precetti importanti per una società realmente democratica, vengono abbozzate su rappresentazioni grafiche, giornalistiche, televisive, fino a perdersi. A smarrirsi in un calderone in cui ognuno di noi è perso, annegato o in bilico su sabbie mobili. 

Probabilmente, la verità, che sicuramente già esiste e che non ho minimamente realizzato per la prima volta io, è che, in mancanza di narratori autentici, tutti i valori, soprattutto quelli sani, possono essere piegati e diventare oggetto di scambio, prodotto da laboratorio per progressioni personali o collettive, tendenzialmente distorte. Come è distorto l’uso della parola giustizia, giunta ad assomigliare sempre più a giustizialismo, a bandiera da sollevare o da cambiare in base alle necessità contingenti. Molto diversa da quella programmata dalla Costituzione, che non ha mai voluto creare “figli e figliastri”.

Ogni riflessione, aspirazione, indicazione profusa dalle labbra di molti si lega, all’inizio o alla fine, con il “sentimento” della giustizia, fatta di spada, di canovaccio che lava il sangue. La disarticolazione completa del vivere civile, la radicalizzazione delle esperienze, hanno eliminato il confronto, l’appartenenza di ciascuno ad un mondo dove le cose si fanno con coraggio, si progredisce in libertà e ci si comporta con impegno.

Ogni pensiero, ogni formulazione è per antonomasia di per sé “giusta” è come tale va protetta fino a far soccombere l’idea diversa, la posizione altrui. Non c’è tempo per l’ascolto, non c’è tempo per l’accordo, la riflessione. Ogni problematica, ogni complessità sociale, economica, politica, viene manipolata fino a suscitare solo ed esclusivamente “paura”, terrore da esercitare sulla popolazione, per dividere, contraffare, alterare e così controllare.

Ah, se la mafia fosse stata strumentalizzata da diventare una paura collettiva, una torsione della pancia! Se fosse stata aizzata alla stesso modo di come è stata sollevata per il migrante, il povero, il gay, il mussulmano! Probabilmente avremmo avuto intere campagne programmate per vedere nel mafioso il nemico “numero uno”. Avremmo aggredito boss sulle spiagge e sparato in libertà contro di loro in pieno centro.

Eppure, anche in questo caso, non avremmo vinto, come del resto non stiamo vincendo nessuna battaglia odierna, perché non avremmo capito, approfondito, isolato il problema. E l’esperienza Covid ne è così grande testimone. Avremmo solo fatto altri torti, giustiziando e non creando giustizia e libertà. La verità, purtroppo, è la miseria nella quale annaspiamo quando le prospettive non sono tracciate, le pance riempite di rabbia e le grandi esperienze sono codificate solo in giorni della memoria.

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