L’AMLETO ARRIVA AL TEATRO QUIRINO

di Aretina Bellizzi

L’AMLETO ARRIVA AL TEATRO QUIRINO

di Aretina Bellizzi

L’AMLETO ARRIVA AL TEATRO QUIRINO

di Aretina Bellizzi

Mettere in scena l’Amleto può essere un atto di coraggio o di tracotanza. Il rischio di realizzare un mero esercizio di stile è troppo forte in casi come questi. Daniele Pecci fa un atto di coraggio e decide di correre il rischio portando al Teatro Quirino dal 18 al 30 ottobre un nuovo adattamento del classico di Shakespeare. Una regia elegante, lineare e leggera che punta ad eliminare le sovrascritture e le sovrainterpretazioni per lasciar parlare il testo nudo. Nell’intento di realizzare questo obiettivo il regista e il nutrito cast di attori lavorano per sottrazione. Pecci elimina volutamente tutto il superfluo, sceglie come nota dominante il sottotono. Il tentativo di semplificazione risulta chiaro ed evidente fin dal principio. Semplificazione che non significa banalizzazione ma ricerca dell’essenza, del significato profondo e del potere evocativo che la parola da sola può avere. I gesti sono ridotti al minimo e di questo forse soffre maggiormente lo spettacolo che smorza l’empatia là dove dovrebbe essere più forte.

Pur potendo puntare su un’ampia gamma di emozioni e sensazioni, l’Amleto di Pecamleto quirinoci sembra volersi frenare. Non ama e non odia in modo eccessivo, cerca quasi una misura anche quando l’equilibrio è impossibile da mantenere. La follia sembra un vezzo o un vizio più che una malattia. Un abito di cui Amleto si veste per difendersi, un armatura con cui si copre per non rimanere nudo e tremendamente umano, per costruirsi un riparo dalla falsità e dal senso di colpa. Per nascondersi anche a se stesso. Non riesce a fuggire però dal passato e dagli spettri che lo abitano nella sua anima. Non sfugge al fantasma del padre, lo ode, lo vede con gli occhi della mente, sente la sua voce rimbombargli dentro come il battito di un cuore impazzito che soffoca e toglie il fiato e allo stesso tempo dà forza. Questa forza e la sete di vendetta alimentata a tal punto da rendere Amleto una cellula scissa non sempre emerge nel suo impeto dirompente, a tratti sembra volutamente smorzata quasi a voler rendere questa figura più simile a quella di un intellettuale che a quella di un novello Oreste pronto a uccidere per vendicare la memoria e la morte del padre. Pronto a disconoscere la madre, una donna dai tratti molto maschili la Gertrude interpretata da Maddalena Crippa. Severa e rigorosa tratta il figlio come fosse un estraneo. Il destino e i problemi di un’umanità intera e insieme di una sola singola famiglia convivono in un’armonia dissonante dentro questo Amleto.

Lo spettacolo di Pecci lineare ed elegante oltre che essenziale anche nelle scelte scenografiche non rimane particolarmente impresso nella memoria dello spettatore. Gli va riconosciuto tuttavia un grande merito, quello di saper arrivare a tutti e in particolare a chi è più digiuno di teatro. Riesce a veicolare un testo potente, complesso e stratificato in modo semplice ad un pubblico “nuovo”, lo restituisce senza aggiunte o interpretazioni alla contemporaneità lasciando lo spettatore libero di leggere dentro allo spettacolo come in un libro la storia di Amleto, di colui che ha reso umana la metafisica e metafisica l’umanità.

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