Stop all’abuso d’ufficio:
necessità o scorciatoia?

Abrogazione abuso di ufficio: necessità o scorciatoia?

Qualche considerazione sulla nuova proposta di riforma della giustizia

di Pietro Maria Sabella

Stop all’abuso d’ufficio:
necessità o scorciatoia?

Abrogazione abuso di ufficio: necessità o scorciatoia?

Abrogazione abuso di ufficio: necessità o scorciatoia?

di Pietro Maria Sabella

Stop all’abuso d’ufficio:
necessità o scorciatoia?

Abrogazione abuso di ufficio: necessità o scorciatoia?

Qualche considerazione sulla nuova proposta di riforma della giustizia

di Pietro Maria Sabella

L’idea di abrogare la fattispecie del codice penale, di cui all’art. 323 c.p., è in qualche modo circolata da tempo, senza tuttavia trovare mai un terreno così fertile fra i legislatori degli ultimi anni.

Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio

Del resto, la norma ha un passato alquanto travagliato. Fin dalla sua introduzione, l’abuso di ufficio ha sempre avuto un’anima ambivalente. Chiamata a tutelare l’imparzialità e il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, ma anche il patrimonio del privato, la fattispecie è sempre stata percepita in alcuni ambienti come elemento di disturbo, come impedimento all’agire amministrativo, in altri, invece, come utile strumento per colpire una certa categoria di comportamenti distrattivi di denaro pubblico a favore di privati.

Da subito, la norma è stata pensata come “residuale”, da applicare quando gli atti illeciti del pubblico ufficiale si rivelassero in comportamenti connotati dalla strumentalizzazione dell’ufficio rivestito ai fini di vantaggio o di danno a terzi.

Nello specifico, in presenza del compimento di atti amministrativi, il reato si poteva estrinsecare nella violazione di legge o di regolamento, in vizi di eccesso di potere o di incompetenza. La norma ha così fatto storia durante i primi anni ’90, prima e dopo Tangentopoli, diventando, in alcuni casi, la protagonista in alcuni importanti processi.

Tuttavia, proprio per la sua capacità di inglobare un numero piuttosto variegato di atti e comportamenti, già nel ’97 si è intervenuti per restringerne il campo di applicazione, cercando di delimitare il controllo giurisdizionale sugli atti discrezionali compiuti dal pubblico ufficiale e di colpire in particolare il contrasto del comportamento con la legge o i regolamenti.

Questa, in brevissimo, la natura e la storia passata di questo reato.

In pratica, l’abuso di ufficio si poneva come monito per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico ufficio, ad esempio, dirigenti pubblici, funzionari, sindaci, ma non solo, che realizzano atti o comportamenti illegittimi, in violazione di legge o di regolamento e che possono favorire indebitamente un cittadino o un’impresa a danno di un’altra.

Qui, gli esempi potrebbero davvero essere moltissimi, ma basterebbe pensare a ipotesi in cui un pubblico ufficiale avvantaggia un’impresa a scapito di un’altra, rispetto alla quale magari ha anche un conflitto di interessi, in violazione dell’interesse pubblico e della norma di una gara d’appalto.

In qualche modo, dunque, nel bene o nel male, si tratta di qualcosa che interessa da sempre i rapporti fra pubblico e privato, fra stato e cittadino; esempi, appunto di cattiva gestione della cosa pubblica che esorbitano in vero e proprio illecito.

L’abuso di ufficio ha rappresentato dunque una sorta di sentinella sulla gestione degli affari pubblici, come tale, pronta ad entrare nel merito stesso delle decisioni adottate in pubblica amministrazione. Eccone, dunque, la pericolosità e l’importanza allo stesso tempo.

Veniamo all’attualità. Nel 2020, il legislatore, ma con molta meno eco mediatica, interviene. Riscrive una parte della fattispecie, lasciando intonsa la parte dedicata al c.d. “conflitto di interessi”. Non la abroga, ma nella sostanza riesce a disinnescarne la portata applicativa. Resta in piedi la rilevanza dei soli comportamenti realizzati in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge, non più anche di regolamenti, e per i quali non residuino margini di discrezionalità.

Nella sostanza, già dal 2020, non è più possibile sindacare o verificare la liceità di scelte discrezionali. Per esserci abuso di ufficio, l’illecito deve essere macroscopicamente realizzato in contrasto alla legge e in presenza di un comportamento che non poteva prevedere alternative, se non appunto quelle imposte dalla norma.

Certo, può essere anche non così agevole cogliere il grande cambio di passo imposto dal legislatore nel 2020, ma, di fatto, fra gli addetti ai lavori, l’abuso di ufficio era già stato “reso innocuo”.

Dunque, per certi aspetti e per arrivare ad oggi, la totale abrogazione oggi proposta, come detto, non stupisce, non meraviglia. Tuttavia, trascina con sé sempre dei significativi punti interrogativi, che probabilmente meriterebbero maggiore approfondimento prima di un’azione così pervasiva, proprio per evitare di essere prima simbolica e poi pensata per il corretto funzionamento della p.a.

In primo luogo, il malcontento per l’abuso di ufficio cela in realtà un problema sistemico e sistematico dell’agire amministrativo ancora irrisolto, circa i modi in cui, soprattutto nelle realtà locali, si gestisce la cosa pubblica.

Trasparenza, regole più semplici ma chiare, applicazione delle procedure anticorruzione, norme sulle procedure di gara ripensate. Questi, probabilmente, sono i punti in cui inserirsi, prima di espungere la norma dall’ordinamento; implementare le regole già esistenti o crearne di nuove, maggiormente adatte alle esigenze di velocità e di imparzialità a cui anche le p.a. devono rispondere.

In poche parole, servirebbe, innanzitutto, riqualificare le regole amministrative, rendere più trasparente il terreno in cui interessi pubblici e privati si possono incontrare, proprio sulla scia di quanto fatto con la legge n. 190/2012.

Il secondo elemento, in particolare, riguarda il rapporto fra governi e amministrazioni, in particolar modo negli enti locali, fra sindaci e dirigenze. Dopo la riforma Bassanini, della seconda metà degli anni ’90, la dialogica fra le responsabilità è cambiata. Molto, se non tutto, in termini di responsabilità di firma è in realtà traslato dal potere politico, i sindaci, a quello amministrativo, i dirigenti.

Ragion per cui, i rallentamenti sulle procedure, atti e assegnazioni, derivano proprio da questa inevitabile frattura: chi dà l’orientamento politico (salvo casi particolari, come per le ordinanze contingibili e urgenti) non firma l’atto e viceversa. Ecco perché, ad oggi, il rischio maggiore di commettere questo reato incomberebbe di più sulle dirigenze che sulle figure politiche. Probabilmente, si sarebbe potuto tentare di sbrogliare questa matassa prima di accedere all’abrogazione della norma penale o, comunque, meritare una narrazione più sincera e articolata.

In questo quadro, infine, anche l’analisi dei numeri sui processi archiviati e sulle condanne definitive merita una lettura più critica. L’alto numero di archiviazioni e le poche manciate di sentenze di condanna, infatti, più che testimoniare lo spregio per le garanzie, testimonia al contrario la rigida capacità interpretativa che nei processi si è riuscita a dare oggi a questa fattispecie. Ciò tuttavia non elimina i problemi che derivano dalla gogna mediatica o politica, i quali, però, chiedono soluzioni estranee a quelle penalistiche.

Ad oggi, in assenza di un’innovazione complessiva della p.a., il rischio è che l’eliminazione dell’abuso di ufficio possa lasciare un vuoto di sistema nell’accertamento della liceità dell’impiego del denaro pubblico, soprattutto di quello derivante dai fondi PNRR, o peggio ancora, un uso potenzialmente improprio di fattispecie più gravi, come la truffa aggravata o la corruzione.

Nel prossimo futuro, pertanto, potrebbe mancare lo strumento penale, sicuramente zoppicante e migliorabile, per accertare e assicurare che le opere e le spese che verranno realizzate avvantaggino legalmente la comunità tutta e non alcune sue peculiari realtà.

La scommessa che deriva dal PNRR dovrebbe infatti essere vinta a favore delle nuove generazioni, dell’ambiente, della sostenibilità, dell’efficienza del nostro sistema che, in questo momento storico, non può più permettersi scorciatoie, ma necessita di riforme di sistema trasversali, in cui prima cambia la norma amministrativa e poi quella penale.

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