A Casal di Principe “la luce vince l’ombra”: arte e antimafia

di Sabrina Cicala

A Casal di Principe “la luce vince l’ombra”: arte e antimafia

di Sabrina Cicala

A Casal di Principe “la luce vince l’ombra”: arte e antimafia

di Sabrina Cicala

 

Casal di Principe, città nativa di don Peppe Diana, si legge all’ingresso del paese. Percorrendo le strade interne, quelle mura troppo alte a coprire le case qualche sospetto di faccende losche lo fanno venire. E quelle telecamere che non si nascondono davanti ai portoni confermano quelle congetture che fai quando leggi “cornuto” davanti alla casa di un pentito.

Ma alla richiesta di indicazioni per via Urano, si illuminano gli occhi di un casalese. “Per la mostra degli Uffizi? Girate a sinistra”. Sembra la fierezza di un genitore quando mostra i disegni fatti dal proprio figlio. Talentuosi, non c’è che dire, Andy Warhol, Giovan Battista Caracciolo, Lo Spagnoletto. Salvator Rosa non è da meno, come il suo fratello di adozione casalese Luca Giordano.

Fino al 21 ottobre, continueranno ad indicare via Urano con lo stesso orgoglio che anima i ragazzi che, in una domenica mattina di estate, ci accolgono nella villa di Egidio Coppola, don Bruto, dedicat oggi al sacerdote ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994.

 

Ho letto della mostra per la prima volta sul New York Times. “A Notorious Crime Hub Gets a Museum” ed io non ne sapevo nulla. Né sapevo, quando ho deciso di andare ad espiare questo peccato di ignoranza, che “la luce vince l’ombra” non era una esposizione di operette, messe lì nella speranza che la sola intenzione di legalità potesse sopperire alla mancanza di professionalità.

Salvatore Setola, uno dei ragazzi che accompagna i visitatori nel percorso museale, ha umilmente ed inconsapevolmente punito la superbia buonista con cui ero partita. Perché, nel descrivere le tele di ispirazione napoletana, provenienti dagli Uffizi, da Capodimonte, dalla Reggia di Caserta e dal Museo Provinciale Campano, sa toccare le corde emozionali dell’arte.

 

L’idea di una mostra a Casal di principe è nata per caso, anche se a me piace sempre pensare che quello che chiamiamo caso agisca secondo qualche imperscrutabile “logica”. È buffa la circostanza per cui quasi due omonimi, il direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Natali, e il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, si trovassero a partecipare alla medesima tavola rotonda. Nel mezzo del dibattito, mentre Antonio Natali stava ultimando il proprio intervento, il sindaco prese la parola lanciandogli un’illuminante provocazione: “ io ero tra i giovani che vennero a spalare il fango a Firenze dopo l’alluvione del ’66.

Quando ricambierete il favore venendo a spalare il fango a Casal di Principe”. Antonio Natali, che durante la formazione ha voluto ospitare noi ambasciatori agli Uffizi regalandoci una visita a porte chiuse alle collezioni della galleria, ci ha confessato di non aver preso sono quella notte e di aver deciso di impegnarsi per contribuire alla stesura di un progetto senz’altro rischioso e difficile, ma possibile. L’evento è stato quindi pianificato grazie al coinvolgimento fondamentale della First Social Life, nelle persone di Giacinto Palladino e Alessandro De Lisi, i responsabili organizzativi del progetto R-Rinascita – che mira al riscatto sociale del territorio – di cui la mostra è solo un volano. A tal proposito, il titolo “La Luce vince l’ombra” – oltre che un riferimento all’estetica della pittura caravaggesca a Napoli protagonista del percorso espositivo – è una chiara metafora di un processo di “svelamento” di un territorio. È quel “spalare il fango” dalla faccia di un paese che è come la luna dei Pink Floyd: se c’è un lato oscuro, deve essercene per forza di cose anche uno luminoso.

Come è avvenuta la vostra chiamata a spalar fango?

Beh, noi volontari – ci hanno chiamati Ambasciatori della Rinascita, titolo diplomatico e poetico, anche se personalmente mi considero una sorta di testimone, inteso come nell’atletica leggera: un passaggio di consegne intergenerazionale – siamo stati selezionati attraverso un colloquio pubblico, tenutosi più di due mesi prima dell’inaugurazione della mostra. C’è da dire che nessuno di quelli che si sono presentati aveva la minima idea di cosa lo aspettasse, nel senso che non sapevamo che dietro l’evento ci fosse un progetto di più ampia rinascita sociale, strutturato con una imponente programmazione a livello di promozione, di organizzazione e di marketing. Ci siamo proposti per la voglia di dare un impulso al nostro territorio, metterci in gioco e sviluppare esperienze e competenze di tipo professionale. Non immaginavamo però l’attenzione mediatica a cui saremmo stati esposti.

 

Ad ottobre le luci si spengono? Quali sono i progetti futuri in relazione all’immobile confiscato e, più in generale, al vostro impegno sul territorio?

La villa confiscata probabilmente resterà uno spazio museale. Il Presidente della Repubblica ci ha consegnato una targa che esibiamo con fierezza in mostra. È un segnale che un processo di “istituzionalizzazione” di quella struttura è già in atto. Forse diventerà un vero e proprio museo, o comunque rimarrà uno spazio espositivo per Casal Di Principe. Resta da vedere come dare continuità alle esposizioni e impegnarsi, di conseguenza, a mantenere il livello delle proposte alto dal punto di vista scientifico. Per quanto riguarda invece il progetto di Rinascita, gli introiti della mostra andranno a finanziare delle start up giovanili che vorranno investire in economia della conoscenza e valorizzazione dello specifico territoriale.

 

Che significa che la rinascita passa per l’arte? Sta riuscendo ad avere reazioni positive dal territorio o resta un buon esempio isolato dal contesto?

Di solito si identifica l’arte con la bellezza, quasi come se la bellezza – che peraltro di per sé è un concetto quanto mai nebuloso e ambiguo – basti da sola a redimere qualsiasi crimine dell’uomo. Da persona che ha una formazione in discipline storico-artistiche, la penso diversamente. E se proprio si vuole affibbiare all’arte lo stigma della bellezza, allora propendo per un tipo di bellezza che ha poco a che fare con una perfezione ideale e tecnica che lascia esterrefatti i sensi e molto, invece, con quello che Kandinskij intendeva con la definizione di “parlare allo spirito”. L’arte funziona come uno specchio, ma non uno specchio aperto sul mondo bensì su noi stessi, come ogni specchio del resto: rivela ciò che di noi stessi mai sapremmo e mai vedremmo altrimenti. Ecco, in questo senso, è bello immaginare che i visitatori di “La luce vince l’ombra” escano dalla mostra più consapevoli di sé, attivando questa consapevolezza all’interno di una comunità. E questo vale tanto per i visitatori autoctoni quanto per quelli che vengono da fuori.

Salvatore, a quale quadro paragoneresti Casal di Principe?

Domanda suggestiva, la tua. Sarei tentato di cercare dei desolati paesaggi urbani – come quelli di Sironi – o qualche scena efferata di carattere storico o biblico: sangue che scorre, corpi esanimi, dolore. Tuttavia non posso che rappresentarmi Casale attraverso il filtro della mia coscienza e del mio vissuto. E io – pur avvertendo l’umore della morte aleggiare sulla quotidianità di questo Paese – non ho mai visto sangue e cadaveri per strada. Di questo mi reputo fortunato. Nella mia visione personale, Casale somiglia più a un dipinto di Felice Casorati del 1919 che ritrae – con uno stile volutamente arcaizzante e uno scorcio prospettico angoscioso – una donna seduta a una tavola imbandita, che sembra stia aspettando qualcosa o qualcuno (non a caso il dipinto si intitola “L’attesa”). A centro tavola ci sono una brocca d’acqua e una bottiglia di vino, in corrispondenza di ogni posto sono posizionate delle scodelle vuote. Ecco, la solitudine di quella donna è la solitudine di quelle scodelle, il senso di vuoto che esse esemplificano. Casale, su di me, ha agito come agisce quell’atmosfera di assoluto immobilismo. Un paese rinchiuso in se stesso che aspetta qualcosa che – per paura o per sfiducia – non succederà mai. Come casalese – non come essere umano, sia ben chiaro – mi sono sentito spesso come una di quelle scodelle: vuoto e isolato. Il dipinto che vorrei che Casale fosse, allora, non è ancora stato realizzato. È, per così dire “L’attesa finita”, con la donna che non è più sola, i posti tutti occupati e le scodelle piene di vivande.

 

La luce presuppone l’ombra. Qual è la vera ombra di questo paese e come si fa ad evitare che la luce duri per i soli quattro mesi di una mostra?

Oltre alla camorra, che però è un fenomeno esteso a più livelli lungo tutta la penisola, la vera ombra di questo paese è la diffidenza che spesso serpeggia tra le persone che lo abitano. Diffidenza nei confronti di chi prova a rendere un servizio, a dare un contributo. Una sorta di disamore distorto, troppo debole per permetter loro di andarsene e troppo forte per chiamarli al riscatto in prima persona. La mostra, in questo contesto, è una cartina di tornasole per valutare quanto i casalesi si possano responsabilizzare nei confronti della loro comunità, e starà a questo progetto convincerli. Secondo me, tutti noi che a diverso titolo abbiamo intrapreso quest’avventure, non dobbiamo commettere l’errore di dare il resto della popolazione per persa, perché le diffidenze si dissiperanno da sole quando i risultati saranno visibili non solo in termini del successo della mostra, ma anche dell’apporto che economicamente e socialmente essa avrà contribuito a lasciare e lanciare sul territorio

Fate presto” è l’immagine, a firma di Andy Warhol, che chiude la mostra nella villa che fu dell’estorsore del clan dei Bardellino. È il titolo in prima pagina su Il Mattino, a tre giorni dal terremoto dell’Irpinia. 2998 morti, 234960 senzatetto. Te regioni colpite, 6687 comuni, ottomila soccorritori in quel lontano1980.

Al centro, la copia che chiude il trittico quasi non si legge. Eppure è ancora lì il monito.

Me ne vado portandomi via questa richiesta di aiuto. Ché nella vita, non solo a Casal di Principe, fa sempre bene ricordarlo.

Cosa resterà di questo piccolo miracolo in terra campana si vedrà in futuro.

Me ne vado con l’immagine di quei ragazzi che girano per i piani della villa. La loro, ormai sono sicura.

È bella la luce che c’è fuori, per le strade di Casal di Principe.

Fate presto.

di Sabrina Cicala

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