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di Fabrizio Lucati

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Silvio

“A casa mancano detersivo per i piatti, la carta igienica… la colla, la colla così aggiusto quella stramaledetta tazza, poi perché debba bere il latte la mattina da una tazza con sopra la foto del bimbo di un altro, maledette bomboniere moderne, erano meglio i prendi polvere enorme e orribili come quelli che mia madre ha collezionato nel tempo.”
Il filo di pensieri di Silvio fu interrotto dal suono del campanello della porta di casa. Si stava preparando per un aperitivo tra amici, aveva pensato di passare prima in un supermercato per prendere delle cose che occorrevano a casa. Indossava solo i jeans e delle calze. La maglietta era ancora sul letto e sul petto troneggiava una spessa collana d’oro con un’immancabile croce e la testa di lupo stilizzato simbolo della Roma. Le scarpe le avrebbe, come sempre, infilate all’ultimo. I testi e la musica di una canzone neo-melodica si fermano per il passaggio alla traccia successiva, Silvio va verso la porta per controllare chi sia stato a suonare. Un occhiata veloce allo spioncino, un ragazzo sui vent’anni, moro, magrolino con scuri capelli corti, unti, era dall’altro lato della porta. Apre senza chiedere.
La porta non finisce il suo percorso, dalla pistola impugnata dal ragazzo alla porta, parte uno colpo. Lo sparo esplode in un fragore, illuminando per un istante il pianerottolo. Il proiettile spinto fuori dallo scoppio, colpisce Silvio in piena pancia. Silvio sente solo la botta. Il dolore ancora niente, avverte un bruciore, lieve all’inizio ma sempre più forte. Non gli avevamo mai sparato, aveva visto persone colpite da armi da fuoco ma si era sempre sentito al sicuro da certe cose, nessuno lo avrebbe mai toccato. Questo il suo primo pensiero, l’immunità a certi pericoli. Arriva il dolore. Forte, devastante. Sente il corpo piegarsi in due, i muscoli tremare, le gambe cedere. Finito in ginocchio sente freddo, il sangue esce dalla pancia, gli viene quasi da ridere, si sente come un personaggio di un film poliziesco. Alza lo sguardo per guardare di nuovo il suo aggressore. Il ragazzo dai capelli scuri, di fronte a Silvio, lo sguardo fisso sulla sua vittima agonizzante, uno sguardo pieno di terrore, colpa e vergogna.

Mattia

– Ma come ho fatto a finire in questo casino, sono proprio uno stronzo, solo un stronzo non si accorgerebbe del casino in cui sta finendo. Solo un emerito stronzo non capirebbe che c’è un limite che non va mai, mai sorpassato. Solo uno grandissimo stronzo avrebbe accettato uno cosa del genere. Io sono un grandissimo, emerito stronzo!-
Mattia odiava il gioco d’azzardo. Ai tempi del liceo non scommetteva nemmeno su una partita a biliardo con i compagni di scuola in una mattina di sega. Eppure aveva iniziato. Solo che, sempre che un metodo esista, non sapeva scommettere, oppure era sfortunato, fatto sta che nel giro di un anno si era procurato un debito così alto, che neanche un naso, tre dita e un paio di costole rotte erano riuscite a ripagare. Testa bassa, insulti contro se stesso si avvicinava a due uomini, che conosceva bene: Giuliano, un tizio alto e largo, messo in ombra dal continuo ciarlare del suo compagno Emiliano, basso e tozzo calvo, con gli occhi incorniciata da occhiali con spessa montatura. I due se ne stavano in un parco giochi, di quelli con giostre in legno e plastica. Emiliano si alza per accogliere Mattia, lo saluta con calore.
– Ciao caro, sei puntuale! Bene è una cosa che ammiro, dai facciamola veloce. Vedi quella palazzina bianca laggiù, quella con una gemella di fronte? –
– Senti ma – Mattia prende parola – sei sicuro che non ci sia un altro metodo per uscire dai casini? –
-Che ne dici? E’ così scemo o vuole solo prenderci in giro per impietosirci? Sentimi bene coglione, tu non sei proprio nella condizione di pensare, non sei nella condizione di fare niente. Ti sei già fatto pestare da noi quante volte? Tre, quattro, vuoi continuare? Noi no, dopo un po’ iniziano a fare male le nocche delle mani, così voglio togliermi la tua presenza dalle palle, siccome non posso lasciarti andare via gratis, dopo quello che mi devi, tu non sei in grado di restituirmi i soldi, l’unica soluzione è, che tu faccia un lavoretto per me.-
– Ma io non sono in grado, non ho mai fatto cose del genere. –
– Bhè non sei nemmeno in grado di scommettere ma vedo che questo non ti frena, quindi poi eccellere anche in questo campo ecco
– Ma –
– Ascoltami, concentrati, non puoi non capire, non hai scelta, lo devi fare! –
– Cosa… Cosa dovrei fare? –
– Vedi quella palazzina laggiù? quella bianca? quella con una gemella di fronte? Bene tu vai in quella di destra, il portone lo abbiamo già aperto per te. Entri, vai al secondo piano, appartamento numero 3, bussi o suoni come preferisci, quando ti aprono la porta spari al padrone di casa. –
– Sparo? –
– Si beh, è una storia lunga, questa persona è un coglione come te, ma al contrario di te ha un solo modo per ripagare quello che ha fatto, morire ecco. Ma io sono pigro e Giuliano non ha fatto niente, non posso chiedergli una cosa del genere, non uccide se non ha un motivo valido. Ci sei te. Che mi devi un favore, che mi devi il tuo continuare a respirare. Per continuare a farlo devi far smettere lui. Semplice vero? –
-Devo ucciderlo? –
– E’ quello che ti ho appena detto si –
– Ma non posso ucciderlo –
– Si che puoi, prendi questa pistola e spari. –
– Ma non posso sparare in pieno giorno! –
– Si che puoi considerando che mezza palazzina è al mare e l’altra metà è… bhè non so dove si trovi e non mi interessa. Non ti sentirà nessuno, questo è quello che conta. –
Ma io… –
– Quante volte devo ripetermi, non hai scelta. –
Mattia cerca invano nella sua mente una risposta, ma le parole “tu non hai scelta” sono dure, precise, vere. Testa bassa, lacrime sul viso che scendono. Nella testa ripercorre momenti della sua vita, come una esperienza pre-morte ma con la differenza, che rivede solo i momenti che l’hanno portato davanti a quel portone aperto: prima le slot, poi le scommesse in ricevitoria, poi le scommesse fuori la ricevitoria, poi il vicolo fuori la ricevitoria, le botte nel vicolo fuori la ricevitoria, le botte nel garage del suo palazzo, le botte nella stradina buia dove era stato portato.
Attraversa il portone con un groppo in gola, un boccone, grande e ruvido che va giù a fatica.
Sale le scale in silenzio, spera che il secondo piano non arrivi mai. Dopo la quarta rampa di scale arriva a destinazione, secondo piano, appartamento 3. Suona al campanello, tira fuori l’arma, la porta si apre, non la fa nemmeno aprire tutta, spara appena vede un corpo. Lo scoppio è fortissimo, Mattia ha le orecchie che fischiano, negli occhi ancora il lampo dell’esplosione. Il ragazzo a cui ha sparato se ne sta fermo di fronte a lui, si piega sulle ginocchia, si accascia a terra, il sangue macchia le mattonelle, prima della casa poi del pianerottolo. Terrorizzato Mattia si gira per andarsene ma dietro di lui vede un signore sui quaranta, leggermente brizzolato, grasso ma spalle possenti. Ha un arma in mano, la punta contro di lui e esplode un colpo. Come prima, rumore assordate, un forte bagliore. Mattia sente fischiare l’aria, l’ha mancato. Alle sue spalle la vetrina del salotto del morto si infrange. L’uomo fissa Mattia, condividono sorte e stato d’animo, ma non lo sanno. Mattia, con un attacco di adrenalina, carica l’uomo.

Sergio

Buio. Almeno un’ora di buio, forse più. Al buio Sergio non riusciva a leggere il suo orologio, uno di quelli vecchi, regalo di nozze del padre che lo ricevette a sua volta dal padre. Un cimelio di famiglia, forse l’ultimo rimasto a Sergio. Tutto venduto. Privatamente o aste pubbliche. Una florida azienda produttrice di pneumatici, la sua eredità. Una azienda fallita la sua attuale realtà. Sacrifici su sacrifici per tenerla su. Non era stata colpa sua però, la crisi economica aveva colpito, come centinaia di piccoli imprenditori, la sua attività. Per salvarla Sergio, aveva fatto un patto con il diavolo. Si era fatto prestare dei soldi, non un prestito legale. Si rivolse a due tizi conosciuti in città. Andò da loro, nel loro ufficio. Un locale di tavoli da biliardo e slot machine. Aveva pagato tre caffè, uno per se, uno per un tizio buffo, calvo e con gli occhiali che non smetteva mai di parlare e uno per un energumeno sempre silenzioso. Come promesso gli consegnarono i soldi due settimane dopo. Come promesso si presentarono da lui due mesi dopo. I soldi li aveva spesi, ma la crisi non era passata. Cominciò così un routine da cronaca nera. Incontri improvvisi, minacce, umiliazioni, atti vandalici contro la fabbrica, contro la sua casa, contro la sua macchina. Poi arrivarono alla violenza fisica. Su di lui, ma tirava avanti. Quando però suo figlio fu coinvolto in una rissa del sabato sera, rivendicata per telefono la domenica mattina decise di incontrarli. Tentò il tutto per tutto. Si offrì al loro servizio e avrebbe ripagato il debito lavorando per loro. Subito l’ometto buffo rise, poi iniziò a ragionare. In meno di dieci minuti si ritrovò nel cofano di un auto. E tutt’ora era là.
La serratura del cofano scatta e Sergio viene investito dalla luce. Solo bianco. Gli occhi ancora non si sono abituati, viene preso e tirato su. La vista torna e si ritrova buttato a terra sul fianco della macchina, in piedi di fronte a lui l’energumeno. Appoggiato allo sportello dell’auto, quello buffo.
– Allora signor “Pirelli”, come è stato il viaggio di suo gradimento? –
– Finiscila –
– E che cos’è questo astio, cercavo solo di far conversazione –
– Bhè io non ho voglia –
– Neanche io allora. Facciamola rapida. Vede quella palazzina in fondo a quella strada? Quella bianca con una gemella? Lì c’è un ragazzo, questo qui sul mio in foto sul mio telefono. Lo troverai sul pianerottolo del secondo piano. Deve ucciderlo. –
– Non si era parlato di uccidere –
– Si era parlato di lavorare per noi –
– Non di uccidere –
– Non l’abbiamo detto vero, ma neanche escluso. Insomma, che pensava di fare, revisionare i nostri conti? –
– Non ho intenzione di uccidere nessuno. –
– A me non interessa cosa tu abbia o non abbia intenzione di fare, quel che mi interessa è che tu uccida quel tizio. –
– Non voglio uccidere nessuno! –
– E io non voglio passare con il rosso e centrare in pieno il motorino di tua figlia con lei sopra, ma se devo fare una cosa, la faccio. Sono fatto così. Senso del dovere. –
– Vaffanculo! –
– Calma giuliano! Vedi, non devi essere scortese se lo sei poi Giuliano si arrabbia, e ti ricordi cosa fa quando si arrabbia? Tuo figlio di sicuro.–
– Smettila di parlare dei miei figli! –
– Cos’è? ti rode non riuscire a proteggerli? Vuoi farlo? Li vuoi proteggere? Entra in quella palazzina e uccidi quel tizio. E la parte più bella sai qual è? Che sbrigata questa piccola commissione saremo pari! non ci dovrai più niente! Vai ora su, veloce! –
– Saremo pari? Non vi farete più vedere? –
– Non ti saluterò nemmeno più per strada –
Sergio prende la via verso la palazzina, la pistola pesa nella sua tasca. Il portone è aperto. Sale le scale lentamente, a metà della prima rampa sente uno sparo. Potrebbe essere successo di tutto ma deve salire. Deve avere la conferma che quel ragazzo sia morto. Tira fuori la pistola dalla tasca e continua a salire. Al secondo piano si ritrova davanti una scena da film poliziesco. La porta di uno degli appartamenti è aperta, a terra sull’uscio un cadavere in un lago di sangue, di fronte, ancora di spalle, un ragazzo. Capelli neri unti verso l’alto, sulla ventina. E’ lui, lo riconosce dalla foto. Il ragazzo si gira e fissa Sergio. Sergio ricambia lo sguardo e trova affinità in quello sguardo, è solo un ragazzo non può farlo, deve farlo però, per la sua famiglia, per la sua stessa vita. Alza la pistola, prende la mira grossolanamente e spara. Lo sparo rimbomba per la tromba delle scale. L’esplosione accende il pianerottolo. Il ragazzo è ancor ancora in piedi, non è ferito e corre verso Sergio, che viene placcato dal ragazzo. Era dai tempi del rugby che non si sentiva sballottato così, cade per le scale. Il ragazzo è rimasto in piedi e scende dietro di lui. Sergio fa in tempo a malapena a rialzarsi che gli è di nuovo sopra. Un pugno gli colpisce la tempia, mentre cerca di riprendersi dal colpo, sente il ragazzo lamentarsi per il dolore alla mano. Sergio riprende lucidità, riesce a spostarsi per evitare il secondo pugno che, si ferma sul pavimento. Il ragazzo si butta verso destra. L’uomo di rialza, tira un calcio nelle costole del ragazzo, che accusa. Lo prende per la cinta e la maglietta e lo lancia giù per le scale. Gli va dietro. Sono al piano terra ora, gli sale sopra, afferra la maglietta all’altezza del collo e comincia a sbattergli la testa a terra. Lentamente sente il teschio del ragazzo rompersi, il sangue si allarga sempre di più a terra. Si ferma. Controlla se sia morto per davvero, sta per vomitare ma deve sapere. E’ morto lui, è libero Sergio. Si alza e fa per andarsene, ma sente una sparo soffocato, un dolore forte al petto, vede tutto disfarsi. Cade a terra. Muore.

Giuliano

Quella vita non faceva più per lui. Aveva superato i trenta da un pezzo e quella, era una vita adatta a qualcuno più giovane. Quando aveva iniziato, tutta un’altra storia. Ma non poteva dare le dimissioni, in certi ambienti la liquidazione non è in denaro. Neanche una rispettabile carriera la sua.Era l’ombra di un idiota piccolo, sia di corporatura che di personalità. Però quell’idiota, gli faceva male ammetterlo, sapeva tirare fuori piani geniali, come quello di oggi. Tre persone da eliminare: due cretini indebitati che faranno da esempio per gli altri e una persona scomoda, lui farà in modo che si uccidano a vicenda.
Se ne stanno in parco pubblico, di quelli con giostre in legno e plastica. Il piccoletto non fa altro che parlare, come al solito, di come lui sia un genio, Giuliano si limita ad annuire e pensa ad altro. E’ preoccupato, l’idea di Emiliano e brillate ma rischiosa. La macchina è parcheggiata vicino, ma il tizio nel bagagliaio potrebbe fare casino e attirare l’attenzione, l’altro tizio non potrebbe venire all’appuntamento mentre il terzo potrebbe non essere solo in casa. Questo pensa, ed Emiliano lo conosce bene, cambia discorso:
– Stai tranquillo Giulià, è tutto calcolato, non ci sono margini di errore. Di cosa sei preoccupato? Parla qualche volta, dimmi i tuoi dubbi, hai paura che Sergio faccia rumore nel cofano? L’abbiamo obbligato con minacce di ripercussioni alla famiglia. Sei preoccupato che Mattia non venga? Verrà, è troppo stupido per non farlo. Sei preoccupato che Silvio sia con qualcuno? Dorme sempre solo ed è domenica, quindi si è svegliato ora. Ho fatto i compiti a casa, stai tranquillo.—
Giuliano doveva concedergli anche questo: Emiliano sapeva leggere le persone, peccato fosse un coglione.
Arriva il primo, il ragazzino. Uno studentello che sperava di fare soldi facili e invece è finito col prendere solo tante botte. Si era sentito in colpa mentre lo picchiava. Ma quello era il suo lavoro. Emiliano attacca a parlare con lui, non gli da tregua, non lo fa nemmeno ribattere. In meno di un minuto Mattia è armato e si dirige verso la palazzina per uccidere Silvio. Poi se ne vanno verso la macchina, Giuliano apre il cofano e dentro c’è Sergio, l’imprenditore fallimentare indebitato con tutte le banche della città. Loro sanno essere più rapidi per risolvere i debiti. Emiliano con lui fa la leva giusta, il discorso finisce sulla sua famiglia e ancora una volta in nemmeno un minuto, parte armato verso la palazzina per far da boia. Giuliano aspetta un paio di minuti, poi entra in azione. Lui è l’ultimo step del piano, quando entrerà in quel palazzo, si spera vuoto per la domenica estiva, Mattia avrà ucciso Silvio e sarà stato ucciso da Sergio, così Giuliano dovrà solo uccidere Sergio e si saranno tolti in cinque minuti tre grossi problemi.
Quando entra nell’atrio del palazzo però, si rende conto che qualcosa è andato storto, Mattia si ritrova a terra con la testa fracassata, sopra di lui Sergio stremato con le mani ancora intorno al collo del ragazzo. Forse le cose non sono andate come previsto. Deve agire però, tira fuori la pistola spara all’imprenditore mentre se ne sta andando, lo guarda morire. Si accerta anche della morte di Mattia e corre al secondo piano dove si tranquillizza alla vista del cadavere di Silvio. Scende di corsa, esce dal palazzo corre verso Emiliano che subito prende parola:
– Allora?-
– Tutto a posto, non proprio come avevi immaginato ma il risultato è lo stesso. –
– Bhè se il risultato è lo stesso è magnifico, vedi che avevo ragione? Sono un genio! Mettimi al comando dell’economia mondiali e ti risolvo la crisi in una mese, un mese ti dico, non mi serve più tempo, dentro questa testa c’è il genio allo stato puro, capisci? IL GENIO-
-Per favore basta! Sta zitto! Ti prego…-

di Fabrizio Lucati All rights reserved

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