L’11 giugno 1984, alle ore 12:45, si spegneva nell’ospedale universitario di Padova uno dei più iconici ed influenti protagonisti del panorama politico italiano del Dopoguerra. Una vita, quella di Enrico Berlinguer, interamente spesa al servizio di quel Partito comunista del quale divenne Segretario nazionale e che guidò fino a raggiungere il maggiore successo elettorale mai conseguito da un partito di estrema sinistra nel nostro paese.
La storia del futuro Segretario del PCI inizia il 25 maggio 1922 a Sassari, in quella che era una delle regioni più economicamente depresse del Regno d’Italia.
Figlio di un noto magistrato dell’isola, trascorre un’infanzia alquanto normale, sebbene funestata dalla tragica malattia celebrale della madre Mariuccia, che la porterà ad una prematura scomparsa nel 1936. Il giovane Enrico frequenta il liceo classico, coltivando la sua grande passione per la storia e, soprattutto, per la filosofia fino allo scoppio della guerra.
Gli anni del conflitto mondiale sono duri in una regione come la Sardegna, soprattutto in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 ed alla sospensione dei collegamenti fra l’isola ed il resto del Paese. E’ in questo contesto di disperazione alimentare che Berlinguer si fa notare, venendo arrestato insieme a molti altri giovani in seguito ad una manifestazione violenta della popolazione sassarese per pretendere dalle autorità pane e zucchero.
Quella breve esperienza in carcere fu una sorta di “battesimo” per Enrico, il quale da quel momento in poi dedicherà tutta la sua vita alla politica. Avvicinatosi fin dal periodo dell’università agli ambienti comunisti clandestini dell’isola, già nel 1944 – con la guerra ancora in corso – riceve i primi incarichi di responsabilità all’interno del PCI.

Nel gennaio del 1946, all’età di soli 24 anni, Berlinguer viene cooptato nel Comitato Centrale del Partito, quasi un record. Uno dei primi incarichi di rilievo che gli vengono assegnati è quello di rifondare, con la collaborazione di altri giovani compagni quali Pecchioli e Ramat, la FGCI – Federazione dei Giovani Comunisti Italiani, ovvero la costola giovanile del Partito.
Nel corso degli anni successivi, un incarico dopo l’altro, Enrico scala con solerzia le gerarchie del Partito. Diventa noto per essere un dirigente fedele e convinto ma allo stesso tempo per niente immerso nella soggezione ideologica all’Unione Sovietica, propria della maggior parte dei quadri dirigenti della generazione di Togliatti.
Infatti, per quanto possibile, Berlinguer prende le distanze dalle più controverse iniziative di politica estera sovietica, a partire dalla tragica invasione dell’Ungheria nel 1956 e poi fino alla sanguinosa repressione della Primavera di Praga nel 1968.
Nel giugno del 1969, mentre si trovava a Mosca in occasione della Conferenza Internazionale dei Partiti Comunisti, Berlinguer tiene un discorso in cui per la prima volta un dirigente italiano sosteneva l’opportunità di superare la teoria dell’unico modello socialista (quello sovietico ovviamente) in favore di uno “nazionale”, ovvero lasciare che ogni paese sviluppasse una propria “via al socialismo” adattandola alle proprie caratteristiche.
Passerà alla storia come uno dei discorsi meno applauditi nella storia dei Congressi sovietici. Nel 1973, dopo alcuni mesi dalla sua elezione a Segretario Generale in occasione del XIII Congresso del Partito, Berlinguer si recò in visita di cortesia a Sofia, nella Repubblica socialista bulgara.
Lì rimane coinvolto in un grave incidente stradale, che costerà la vita al suo autista e che da alcune fonti viene ritenuto essere un attentato fallito alla sua vita (privatamente lo stesso Berlinguer si disse sempre convinto da questa versione).
Nel corso degli anni ‘70 Berlinguer, già figura politica di primo piano a livello nazionale, divenne noto anche all’estero non solo in virtù della sua grande capacità di comunicatore ma anche grazie ad alcune iniziative politiche che promettevano di modificare radicalmente il sistema di equilibrio europeo ed internazionale.
Per prima cosa, in seguito ad un progressivo ed irrecuperabile allontanamento dall’Unione Sovietica, Berlinguer difese con forza la sua idea di una “terza via” al comunismo, che venne ribattezzata “Eurocomunismo”: ogni paese aveva diritto di sviluppare una propria modalità di contrasto al capitalismo, e nessuno si doveva arrogare il diritto di condizionare le modalità con cui i popoli decidevano liberamente di rifondare la propria società (come fino a quel momento aveva fatto l’URSS figlia di Stalin e di Chruscev).
Inoltre, le tensioni internazionali sempre più forti causate dallo sviluppo del comunismo a livello mondiale avevano portato a risultati tragici in paesi quali la Grecia, il Cile ed altre nazioni del cosiddetto Terzo Mondo, dove dittature militari di estrema destra avevano preso il controllo (anche con il supporto statunitense) per scongiurare la vittoria alle elezioni delle forze comuniste nazionali.
In questo contesto l’Italia, con il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, rischiava seriamente di assistere ad un golpe militare ed alla instaurazione di un regime di colonnelli.
Per scongiurare questa possibilità, Berlinguer capisce che una strategia vincente poteva essere quella di tendere una mano alla Democrazia Cristiana sul terreno comune della difesa dell’ordinamento democratico, tentando di creare una piattaforma condivisa su cui costruire il futuro del Paese.
Per portare aventi questo ardito progetto Berlinguer trovò una sponda importante nel presidente della DC Aldo Moro, il quale si spese molto, nonostante le forti opposizioni all’interno del suo partito, per la riuscita di quello che passerà alla storia come “compromesso storico”.

Un compromesso che, tuttavia, sarà destinato a naufragare definitivamente in seguito alla forti resistenze dei settori tradizionali della politica nazionale, nonché, soprattutto, in seguito alla morte dello statista democristiano per mano delle Brigate Rosse nella primavera del 1978.
Il probabile apice dell’astro del Segretario sassarese si manifestò nel giugno del 1975, quando alle elezioni regionali il PCI raggiunse il 33% dei consensi. “Un italiano su tre vota comunista” fu la celebre frase che venne lanciata dal balcone della sede del Partito a Via delle Botteghe Oscure.
Ma alla gioia per l’apice del consenso seguì negli anni successivi per il PCI una duplice difficoltà: da un lato, il difficile contrasto al montare del neo-liberismo di matrice britannica e statunitense; dall’altro, si venne consumando la definitiva rottura con l’Unione Sovietica.
L’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979 e la durissima politica di repressione militare operata (con il consenso sovietico) dalla Repubblica socialista polacca indussero Berlinguer ed il Partito ad una ferma posizione di condanna. Fu in questo critico frangente che il 7 giugno 1984, mentre stava tenendo un comizio in Piazza della Frutta a Padova in vista delle elezioni europee, Berlinguer viene colpito improvvisamente da un malore.
Visibilmente provato, compie enormi sforzi per tentare di concludere il suo intervento, nonostante voci dalla folla chiedano di fermare il comizio. Ricoverato d’urgenza per l’emorragia cerebrale che lo aveva colpito, si spegne quattro giorni dopo all’età di 62 anni. Memorabili saranno i suoi funerali, tenutesi a Roma con la partecipazione di centinaia di migliaia di simpatizzanti e sostenitori. La sua salma attualmente riposa a Roma, nel cimitero di Prima Porta.
