Federico Baccomo, in arte Duchesne, ci racconta il suo “Peep Show”

di Sabrina Cicala

Federico Baccomo, in arte Duchesne, ci racconta il suo “Peep Show”

di Sabrina Cicala

Federico Baccomo, in arte Duchesne, ci racconta il suo “Peep Show”

di Sabrina Cicala

Federico Baccomo

Dall’autore di Studio illegale e La gente che sta bene, un romanzo spassoso, feroce e struggente sulla fama, la solitudine e l’ossessione di apparire.

«Cambiando continuamente registro e voce, l’autore racconta la volgarità e la vacuità del mondo televisivo e la ferocia dei media e dei social network. Un pastiche perfetto che fa ridere e piangere» Brunella Schisa, Il Venerdì di Repubblica

Nuova intervista a Federico Baccomo, in arte Duchesne, in occasione dell’uscita del suo nuovo tragicomico romanzo “Peep Show“, edito da Marsilio, che racconta la storia di Nicola Presci, ex concorrente di un reality show, alla continua ricerca di una notorietà effimera.

Federico Baccomo, in arte Duchesne, ci racconta il suo “Peep Show”

Intervista a Federico Baccomo a cura di Sabrina Cicala.

–          “Spettacolo pornografico che si guarda da una feritoia” è la definizione che il dizionario dà di “peep show”. Ci dici qual è il significato per Duchesne?

Mi spiace cominciare un’intervista con la parola metafora, ma sembra la parola migliore. Il peep show ha questa caratteristica: si osserva senza essere visti, che è un po’ quello che mi sembra accada oggi, con l’esposizione più o meno spudorata del proprio privato a un pubblico di fan, amici, follower, ecc.

–          Con voyeuristico sguardo, il lettore osserva il declino di personaggi dopo l’ “akmè” del successo. C’è qualcosa di banalmente e profondamente umano nel ridere delle disgrazie altrui?

Ridere delle disgrazie altrui mi sembra il modo migliore per mettere alla prova il nostro grado di empatia. Non mi piace che si rida del tizio che scivola e sbatte a terra, mi piace che si rida della disgrazia che nasce da un errore colpevole, da una cattiveria, o anche solo da un’illusione sbagliata, perché è un riso che fa tremare, è il riso di chi spera di essere al sicuro e sa che così non è.

–          Il protagonista si muove in un mondo dove non sembra esserci spazio per la bontà. Secondo te lo showbiz è davvero così spietato?

Non saprei dire come sia l’ambiente dello spettacolo: per la mia piccola esperienza c’è spietatezza e generosità esattamente come ne ho vista tra gli avvocati, gli scrittori, i giornalisti, e tutti quegli ambienti che mi è capitato di frequentare. Nel mondo in cui vive Nicola, il protagonista, la bontà sembra un lusso che pochi possono permettersi, ma solo perché è lui stesso il primo che sembra averci rinunciato.

–          Dal mondo (il)legale a quello dello spettacolo. Quali sono le ragioni di questo cambiamento di paesaggio? Hai trovato delle affinità tra i due contesti?

A ripensare ai miei libri, cercandone per quel che mi è possibile un distacco, mi viene da dire che raccontino sempre di illusioni che si infrangono. In questo caso, il mondo dello spettacolo mi offriva lo scenario per raccontare l’illusione più grande: quella della fama, il bisogno di sopravvivere nella memoria della gente, di farsi in qualche modo immortali.

–          “Studio illegale” e “La gente che sta bene” hanno avuto il vantaggio di essere stati scritti da chi, grazie all’esperienza personale d’avvocato, poteva dar loro realismo. Come hai fatto questa volta a descrivere una vita distante dalla tua?

È stato probabilmente l’aspetto più divertente della scrittura di questo romanzo: calarsi in occhi completamente diversi dai miei. Ho la sensazione che scrittori e lettori si dividano in due grandi categorie: quelli che raccontano o leggono della propria vita, e quelli che cercano vite diverse in cui farsi una sorta di viaggio. Questo libro mi ha dato finalmente la possibilità di farmi questa trasferta in una vita distante dalla mia, e non credo ci sia un metodo, un sistema, per rendere il viaggio credibile. Penso sia sufficiente (e necessario) non avere paura di sporcarsi, scendere fin dove può scendere un personaggio, lasciando indietro decenze e giudizi.

–          Qual è il “personaggio pubblico” che vorresti o che avresti voluto realmente conoscere in vesti private?

A esser sinceri, non sento molto la fascinazione dei personaggi pubblici. Probabilmente, tra tutte le categorie di celebrità, i comici restano quelli da cui sono più facilmente sedotto, ma è la dimensione del palco, del microfono, del riflettore, che continua ad affascinarmi, il resto rimane una semplice curiosità.

–          Ti destreggi con la cravatta da avvocato tra scrittura e cinema. Qual è l’augurio che vorresti ti facessimo?

Di ottenere ciò che merito, se lo merito.

–          Dopo le due felici precedenti esperienze al cinema – secondo te – ci sono delle concrete possibilità che anche il tuo terzo romanzo diventi un film? Chi ti piacerebbe che interpretasse il ruolo di Nicola?

C’è qualcosa di questo libro – il tono, la trama, l’andamento tra la commedia e, a tratti, il thriller – che in qualche modo me lo fa sentire molto cinematografico. Ma la realizzazione di un film segue percorsi talmente complessi e imperscrutabili che diventa difficile immaginare in questo momento una traduzione cinematografica. Sarà curioso vedere che succederà, e sarà curioso vedere quale attore immagineranno nella parte: trattandosi un uomo che ha sperperato i suoi 15 minuti di gloria e oggi è dimenticato da tutti, nel libro ho scelto di renderlo sfumato e poco riconoscibile nei suoi tratti, una sorta di ombra. Per questo non riesco a immaginare un volto d’attore per lui, mi piace continuare a lasciarlo nella sua nebbia, quell’immacolata oscurità da cui cercherà in eterno di scappare.

Federico Baccomo, in arte Duchesne, ci racconta il suo “Peep Show”

Grazie Federico, ci vediamo il 25 ottobre, alle ore 19:00, per la presentazione del tuo romanzo “Peep Show” presso la libreria Altroquando, Via del Governo Vecchio, 80, Roma. 

A cura di Sabrina Cicala.

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