5 Giorni

di Daniele Urciuolo

5 Giorni

di Daniele Urciuolo

5 Giorni

di Daniele Urciuolo

Venerdì 13 luglio. Walter mi porta con sé a una serata alcoolica al Tortuga.

«Vedrai che ti divertirai.»

«Mmmmhhhh. Vabbè.»

Walter è un tipo alla Renegade. Tutto sesso droga e rock and roll. Il suo motto è: “Non risparmiarti. Vivi oggi come se dovessi morire domani”. E’ nel giro radical chic di Roma. Conosce pierre, attrici, modelle, ballerine, pornostar. Ma non si fa problemi a portarsi a letto cessi, buste e tonni d’allevamento. Dice sempre: “bastano due righe e due negroni e sono tutte fighe, sembrano tutte Belén Rodriguez”.

Si, certo.

Il posto è carino, all’aperto. Zona Corso Trieste, di fronte al Giulio Cesare. Ci sono tanti ragazzi e ragazze. Tutti pariolini. Dopo la seconda pinta di birra sono già brillo. Non sono più abituato, ma ho un problema: a differenza del mio amico Walter a me i cessi continuano a sembrare cessi, non si trasformano in modelle di Victoria’s Secret.

Mentre porto il boccale vuoto al bancone del locale ho una visione in lontananza. Pelle ambrata, capelli color castano ramato, lisci, lungo chemisier in twill di cotone marrone con cintura che le accarezza la vita, bracciali vintage ai polsi e sandali di camoscio stringati ai piedi. Una venere nera. Una dea. Una principessa.

«Hai da accedere?»

(Deglutisco lentamente. Non fumo, non ho mai fumato in vita mia, ma la fortuna ha voluto che quella sera reggessi io l’accendino di Walter in una nelle mie numerose tasche del pantalone di Abercrombie & Fitch).

«Si.»

Si accende la sigaretta e resta lì. Ferma. Immobile. Bellissima. Mentre aspirava, la guardavo. Sentivo il fumo secco e intenso di quella Camel fin dentro le vene, come se la stessi fumando io. Invece era lei che fumava graziosamente. Poi butta il mozzicone rimasto e lo calpesta col tacco. Resta sempre davanti a me. Mi sorride. Aspetta.

(Oh cazzo. E ora cosa le dico? La mia mente cercava di ricordare i fatti principali dell’attualità letti su Repubblica.it: Spending review, Spread, crisi della Grecia, Nicole Minetti al mare…Devo sembrare acculturato, mi ripetevo).

«Che musica ascolti?» – mi chiede.

(Wow…Me la sono scampata…).

«Ehm…Ehm…Mi piace il jazz.»

«Figo. A me il country.»

(Country? Echecazzoèilcountry???).

Annuisco e sorrido.

«Sei di Roma? »

«Si, ma di origini africane da parte di madre. Precisamente Costa D’Avorio.»

«Avrei detto Camerun.»

«Camerun? No, lì hanno la pelle molto più scura.»

(Ma perché non mi sto zitto invece di fare queste figure di merda?).

Proseguiamo a parlare di storia romana. Lei è un’appassionata dell’Impero. Io allora, per pavoneggiarmi un po’ sfoggio i miei latinismi, vecchi ricordi liceali, e celebri frasi di Cicerone stile baci perugina. Che polipo sfigato che sono. Sarà stato l’alcool ma avvertivo un senso di euforia, di ebbrezza, di benessere, di inibizione. Ma al tempo stesso anche di rallentamento dei riflessi, riduzione della vista laterale, abbassamento della temperatura corporea. Però lei ascolta, gradisce, annuisce, ride. Mi dice che fa l’Istituto Europeo di Design e che vuole diventare una stilista. Lo stile ce l’ha.

«Hai facebook?»

«Si.»

«Posso aggiugerti?»

«Ok.»

«Come ti trovo?»

«Giusto. Piacere Giovanna.»

«Piacere Alberto. Di cognome? »

«Di Arco»

«Ah come l’eroina francese?»

«Si ma senza l’apostrofo.»

Ahahahah. Ridiamo.

«Ok ti aggiungo io. Mi riconosci dalla foto.»

«Ok.»

«Allora ciao.»

«Ciao.»

Quella sera appena tornato a casa ho sentito brividi strani. Ho subito acceso il pc e l’ho cercata. Evvai ha il profilo pubblico. Qualche giorno fa aveva caricato l’album fotografico della sua vacanza in Salento. Che bella. Una sirena. Avrò visto il suo profilo 200 volte in 17 ore, prima che lei accettasse la mia amicizia. Poi le ho mandato un inbox con scritto “Grazie!”, con allegata l’emoticon dell’occhiolino. Sono già pazzo di lei. Ruberei la luna e gliela porterei in dono, proprio come il poeta-mago dipinto dal Musante. La invito per un ape in centro. Accetta.

Entriamo in un bar che conosco. Stile americano.

«Lo vuoi un cocktail?»

«Non so. Fai tu.»

«Ok – scusi signorina, due Japan ice per favore.»

«Cos’è?»

«Un mix di vodka, gin, rum, midori, sweet sour, sprite e lime. Fidati è buono.»

Arriva il cocktail, lo assaggio prima io.

«Mmmmhhh buono.» (Non è vero, fa schifo, ma glielo faccio credere).

Allora lei sicura fa un bel sorso profondo, ma appena avverte il sapore amaro del composto alcoolico me lo spruzza in faccia bagnandomi il viso.

«Che schifo!»

Io rido a crepapelle e lei mi lancia due cubetti di ghiaccio addosso.

Ridiamo.

La riaccompagno a casa e le lascio il mio numero di telefono. Lei non mi da il suo. Dice che è presto. Mi piace. E’ divertente, alla mano, non è di quelle snob figlie di papà che incontri alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università privata. Sono stato col Blackberry accesso tutta la notte sperando che mi chiamasse. Sono le 02:56 e mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto. Sarà lei? Sono a letto da tre ore, mi scandisco la voce e rispondo:

«Siii?»

«Acklaadrakkalaaah…»

«Come? Chi è?»

«Scusa amigo, ho sbagliato numero.»

Maporcadiquellamerdacciaschifosa!!! Ci avevo creduto, e invece era soltanto un vecchio algerino distratto. Il giorno dopo le scrivo in chat: “Vuoi accompagnarmi da IKEA?” Mi risponde di si. E vaiii!!! E andiamooo!!!

Siamo da IKEA e tra asciugamani e lenzuola inizio a spiegarle tutta una personalissima teoria sulla casa dei miei sogni. Vedo una cucina moderna piccola ma completa di tutti i comfort, color rosso elettrico.

«Questa é la mia preferita.»

Lei mi fissa incredula, sorride minacciosa, e con chiara aria di sfida si avvicina a una cucina montata alla parete di destra, li vicino. E’ larga, color mogano…

«Vorrai dire questa!»

«Macché non vedi che nella mia ci sono installati anche i fornelli digitali.»

«Macchisenefrega dei fornelli. Vuoi mettere lo spazio? E poi io – per queste cose – sono una all’antica, penso che la cucina sia un luogo di incontro, dove mente corpo e cibo si debbano sposare alla perfezione.»

E mi da un dolce scappellotto dietro il collo.

«Ahia mi hai fatto male.»

Così la prendo da dietro e le faccio lo sgambetto. Lei perde l’equilibrio e nel cadere si aggrappa alla manica della mia maglietta e stringe così forte da farmi cadere appresso a lei. Ci guardiamo incastrati come tetris sul pavimento e scoppiamo in una risata fragorosa nell’indifferenza generale delle centinaia di consumatori del famoso store svedese.

Sono cotto a puntino. So cosa provo e cosa voglio ma non mi pongo il problema di cosa prova lei. Se avverte piacere, noia, gioia, disagio. Ho gli occhi che mi brillano. Sembro un bambino al quale la mamma ha appena regalato la pista delle macchinine radiocomandate.

Siamo ancora nel centro commerciale. Usciamo da IKEA ed entriamo da DECATLON. Lei vede un ragazzo e lo saluta. È alto due metri, bicipiti e tricipiti scolpiti. Sembra il fratello di Van Damme. Ma più grosso. Mi dice che è un suo amico delle medie che ora fa l’istruttore di Body building in una palestra a Piazza Cavour. Prima era più basso – mi dice. E aveva anche i brufoli. Ora invece è uno dei modelli di Trussardi. E’ il David Gandy de noantri.

Io sono verde di gelosia.

«Ti dispiace aspettarmi qui dieci minuti? Vado a prendere un caffè al bar con Alex, poi un attimino alla toilette e torno.»

«Certo.»

(Certo il cazzo! Dentro di me avevo il fuoco di Sant’Antonio. Le palle mi bruciavano come carne alla brace. Volevo morire, avevo gli occhi rosso sangue come un Bloody mary. Ma decido di aspettare, seduto su una triste panchina del centro commerciale tra un INTIMISSIMI e un H&M. Dopo 15 minuti torna. La vedo arrivare e già tiro su un respiro di sollievo. Credevo non tornasse più. Credevo fosse corsa all’aeroporto e avesse preso il primo volo di sola andata per Bangkok assieme all’uomo roccia. E che non l’avrei più rivista per tutta la vita).

Ha un pacchetto in mano.

«É per te aprilo.»

«Un regalo? Per me?»

«Dai aprilo.»

E’ il nuovo cd di Keith Urban.

«Ah. Keith, il marito della Kidman.»

«Davvero lo conosci?»

«Scherzi, è uno dei miei cantanti country preferiti. Nato in Nuova Zelanda, poi trasferitosi in Australia. Inizia a suonare la chitarra all’età di sei anni. Deve il successo al singolo Somebodly Like You, estratto dal suo secondo album del 2002 dal titolo “Golden Road”.»

Mi abbraccia e mi stampa un bacio sulle labbra.

(Ovviamente ieri – durante il mio delirio notturno – mi sono messo come l’Uomo gatto di Sarabanda a studiare tutta la discografia della musica country di tutti i continenti del mondo e delle galassie vicine dell’ultimo decennio, ma questo – forse – è meglio non rivelarlo a Giovanna).

Sono preso. Lei pure mi sembra presa. Non so se andrà avanti la mia storia con lei, ma so che oggi mi sento di crederlo. Tanto cosa ho da perdere? Charlie Chaplin diceva: “Fai cosa ti dice il cuore, una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi”. Poi, se non dovesse andare bene almeno avrò fatto quello che sentivo dentro il mio cuore, vivendo la mia vita senza rimpianti. Avrò rincorso una preziosa pepita che – forse – era troppo preziosa per uno come me – ma ne sarà valsa la pena. Comunque.

Martedì 17. Il telefono squilla. Chi sarà?

…Continua

Tratto da “Solo io”

di Daniele Urciuolo

All rights reserved

Pagina Fan di facebook: 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati